martedì 17 dicembre 2013

L’ex “Pagina zero” del Trattato di Osimo


Uno dei documenti cui gli indipendentisti triestini danno più importanza, per sostenere le loro tesi, è la cosiddetta (e presunta) “pagina zero” del Trattato di Osimo, la quale dimostrerebbe che tale accordo “oggi non ha alcun valore” (citiamo testualmente la pagina dedicatavi dal sito di MTL).
Detto documento, che riportiamo nella versione tratta dalla stessa pagina del sito del Movimento, sarebbe la prova della nullità del trattato italo-jugoslavo, in quanto con esso l’allora segretario generale avrebbe sancito che le Nazioni Unite “prendono atto dell’esistenza di quest’accordo bilaterale, ma non implicano assolutamente che questo documento possa andare a modificare il Trattato di Pace o la 16esima Risoluzione del Consiglio di Sicurezza”.
Si potrebbe iniziare obiettando che non si evince nessuna prova che tale pagina sia riferita effettivamente al Trattato di Osimo; anche la scritta a penna in alto a destra riporta la data di registrazione corrispondente ma non mostra alcuna firma e potrebbe averla fatta chiunque.
In secondo luogo, può bastare una breve lettura, nella versione inglese o in quella francese, per capire che, in realtà, il trattato di Pace non viene neanche nominato, né il testo pare mettere in luce alcun difetto formale o sostanziale del Trattato di Osimo. Il primo paragrafo della nota, infatti, inizia col ricordare che a norma della Carta delle Nazioni Unite (art. 102) qualsiasi trattato va registrato, altrimenti una parte contraente di quel trattato non potrà invocarlo davanti all’ONU. La registrazione, peraltro, è prevista anche dall'art. 80 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati.
Il secondo paragrafo, invece, prende atto di una carenza della Carta e del regolamento dell'ONU, che non definiscono il concetto di "trattato" e di "accordo" e quindi si lascia allo stato depositante la responsabilità di attestare che si tratti veramente di un "trattato" o “accordo”, liberando il segretario ONU da responsabilità e da prese di posizione in merito.
Questo c'è scritto effettivamente e pare evidente che non si tratta di una nota specificamente scritta per il trattato in questione, ma di una formula standard che vale per tutti gli accordi internazionali e non solo per quello di Osimo. Un indizio in tal senso si ha anche nel terzo e breve capoverso dopo gli asterischi, che, a proposito della traduzione ufficiale, fa riferimento ai trattati pubblicati nelle raccolte dell'ONU e non ad uno soltanto (“treaties etc., published in these series”).
 

Ma dal sospetto si passa alla certezza quando si consulta, sul sito ufficiale delle Nazioni Unite, la raccolta dei trattati registrati in quel periodo (dal 2 al 16 luglio del 1987) e pubblicati nel suo “Treaty series – Recueil des traités”:

Nel file pdf a pagina 12 subito dopo l’indice, compare proprio il testo integrale della “NOTE BY THE SECRETARIAT – NOTE DU SECRÉTARIAT” che il movimento dice di essersi “procurato” e che è invece a disposizione di tutti in rete, ovviamente senza il manoscritto in alto a destra; la pagina è assolutamente identica, anche dal punto di vista grafico ed essendo posizionata all'inizio del volume è quindi riferita a tutti i 23 trattati in esso pubblicati.
Peraltro, anche consultando le altre raccolte dell’intero anno 1987 dallo stesso sito ufficiale dell'ONU, si può trovare in tutti i file pdf la solita nota del segretariato (che ormai possiamo non chiamare più “pagina zero”) sempre posta subito dopo l’indice.
Si può quindi pacificamente concludere che la presunta “pagina zero”, che qualcuno vorrebbe dedicata al Trattato di Osimo a sancirne la nullità, non solo non rileva alcun vizio, ma per di più è palesemente riferita a tutti i trattati internazionali registrati in quegli anni. Che siano tutti nulli?

lunedì 25 novembre 2013

23 novembre 2013: Noi stiamo con i Marò


Sabato 23 novembre il Comitato Trieste Pro Patria si è recato a Roma orgnizzando un pullman, per partecipare alla marcia a sostegno dei due marò trattenuti in India da circa 20 mesi. La manifestazione era organizzata dalle famiglie Girone e Latorre, al fine di richiamare l'attenzione sulla vicenda, i cui iniziali clamori paiono sopiti, nel disinteresse della stampa e nel silenzio delle autorità. Contemporaneamente, una marcia è stata organizzata anche a Trieste dalle associazioni d'arma.
Sin dall'inizio della manifestazione, la nostra presenza si è fatta notare, grazie al nostro striscione, alle bandiere, al nostro gruppo compatto ed allegro; molte persone sono venute a fotografarci ed a salutarci cordialmente, tra cui il giornalista Toni Capuozzo, lasciando trasparire la simpatia di cui gode Trieste in buona parte d'Italia, rinnovando quella fama di “città più italiana d'Italia”.
Il nostro pullman ha portato da Trieste un contributo di vicinanza a due uomini che stanno incarnando il vero senso di Patria, con il loro contegno fiero e responsabile. Una simile manifestazione non poteva che trovarci pronti a partire alla volta della città eterna, per reclamare l'Italia che vorremmo, un'Italia che sappia garantire e pretendere giustizia, che non sacrifichi gli ideali e la dignità all'interesse economico. Quella che vogliamo è una nazione che torni a farsi Patria.

L'Italia dopo l'Italia. Il nostro Paese raccontato da Virgilio Ilari

L'Italia dopo l'Italia. La morte dello Stato italiano dal 1992 ad oggi.

Questo il titolo del primo incontro pubblico organizzato dal gruppo giovani del Comitato Trieste Pro Patria, che si è tenuto il 16 novembre presso la sala teatrale del santuario di Santa Maria Maggiore.
Relatore è stato il professor Virgilio Ilari, già docente di Storia delle istituzioni militari e dei sistemi di sicurezza all'Università Cattolica di Milano, presentato dal nostro Matteo. Figura di spicco del dibattito storico italiano, nonché per molti anni presidente della Società Italiana di Storia Militare, Ilari ha collaborato con l'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito, con l'Istituto Affari Internazionali e con varie riviste di approfondimento. È stato anche consulente del Centro Militare di Studi Strategici, della Commissione bicamerale di inchiesta sul terrorismo e le stragi ed ha collaborato con il Centro Alti Studi per la Difesa.
Ilari ha delineato la parabola discendente dello Stato italiano dal 1992 ad oggi. Il triennio 1991-1993 rappresenta, a suo dire, la morte dello Stato italiano soprattutto a causa di tre fattori, di tre momenti chiave: il trattato di Maastricht, l'inchiesta Mani Pulite, i referendum a carattere elettorale.
Interessante la teoria espressa dallo storico romano: i grandi partiti popolari (quali ad esempio DC, PCI e MSI) funsero da collanti per una Nazione ancora fortemente divisa dall'esperienza della seconda guerra mondiale e dagli anni del dopoguerra. Con la disaffezione da parte del popolo e la delegittimazione di questi organi di rappresentanza – che Ilari non assolve dalle loro colpe – in Italia è venuto meno il senso di una rappresentanza popolare che, oggi giorno, non viene minimamente percepito dai cittadini.
Ulteriore spunto di riflessione proposto da Ilari è stato lo scarto generazionale avvenuto nella stagione del Sessantotto: da una parte la generazione dei «nostri grandi vecchi», vissuti in un'epoca di grandi slanci politici (Fascismo, Resistenza, il Dopoguerra) dall'altra quella che Ilari, in un articolo dal titolo omonimo di questo incontro, non esita a definire come «quella che s'è mangiato tutto: ominicchi, donnacciole e quaqquaraquà incapaci di sopportare la durezza della vita e della libertà, che alla fine hanno venduto pure sé stessi e i propri discendenti gongolando “gajardo, 'arisemo schiavi”». Con disincanto lo stesso Ilari, in un simpatico intermezzo in romanesco esclama: «pure io, alla fine, che sono della stessa generazione, che ho fatto?».
E alla stessa generazione – per nascita sì, ma non per attitudine e qualità – apparteneva anche lo storico piranese Antonio Sema, grande amico di Ilari e ricordato a lungo in apertura di conferenza. Comunista ed esule istriano, ma fortemente convinto della propria identità nazionale, Sema rappresenta il simbolo di una stagione dove la contrapposizione politica poteva essere anche aspra, ma che non comprometteva la possibilità di un dialogo concreto e costruttivo tra ideologie diverse, proprio – a detta di Ilari – grazie a quel sistema di rappresentanza che aveva instillato nel popolo la certezza di essere parte di un corpus collettivo e di una comunità politico-sociale viva e vegeta.
Che cosa manca a questa Italia per riprendere e plasmare sul presente i valori che Ilari assurge come fondamentali per una coesione ideale? Due, a suo avviso, le motivazioni.
La prima, la perdita della duplice sovranità italiana: popolare, di cui abbiamo già fatto menzione, e nazionale. Continuamente pungolato dal pubblico presente su questo punto, Ilari non ha esitato a evidenziare la progressiva svendita del carattere nazionale di uno Stato in cui è soltanto l'apparato burocratico-amministrativo ad andare avanti. Inevitabili gli accenni all'Unione Europea, all'Euro, alle possibili soluzioni alternative, anche se, a essere onesti, Ilari non ha dato l'impressione di volersi schierare apertamente per l'alternativa antieuristica («non sono un esperto di economia»).
La seconda, lo svilimento e la celebrazione di maniera di qualsivoglia valore che possa in minima parte collegarsi all'idea di Patria. Marcette dei bersaglieri, obbligo di far cantare l’inno ai calciatori della Nazionale, sostituzione della Marcia di Radetzky del Concerto di Capodanno con l’Inno di Mameli e tutta una serie di iniziative partite dalla costruzione del centocinquantenario del’Unità d’Italia servono a instillare nei cittadini un senso profondo di amor patrio, di coinvolgimento ideale a un senso di comunità nazionale? Secondo Ilari, ma pure secondo il sottoscritto, assolutamente no. Anzi, non fanno altro che ridurre a folklore un sentimento ben più profondo dello sventolio di un tricolore durante i Mondiali di calcio. Oltre a legittimare istanze separatistiche, svuotando di ogni contenuto il sentire patriottico e a rendere estremamente sospetto e contraddittorio ogni sporadico richiamo istituzionale alla coesione nazionale.
Lorenzo Natural

mercoledì 6 novembre 2013

5 novembre 2013: Commemorazione dei caduti per l'italianità di Trieste del 1953.


Il 5 novembre, con la consueta entusiastica convinzione, abbiamo partecipato alla commemorazione dei sei triestini che persero la vita durante gli scontri con la Polizia Civile comandata da ufficiali inglesi, il 5 e 6 novembre del 1953. A 60 anni esatti da quei tragici giorni, alla luce del crollo di valori che contraddistingue la società odierna, siamo convinti che sia più che mai importante ricordare il sacrificio di Piero Addobbati, Erminio Bassa, Leonardo Manzi, Saverio Montano, Francesco Paglia, Antonio Zavadil.
Nel ricordare quei giorni di novembre e nel cercare di capirli, non ci si può limitare alle spontanee manifestazioni da parte di tantissimi triestini ed alle dinamiche degli scontri di piazza, ma è corretto ampliare lo sguardo alla complicata congiuntura internazionale che proprio su Trieste faceva convergere tensioni e situazioni politiche di ben più ampio respiro. Inoltre, non può certo essere trascurato il ruolo esercitato dallo stato italiano e da quella jugoslavo, nell’influire sulla situazione triestina e nell'appoggiare in vario modo le parti in conflitto.
Dopo la morte di Stalin, la Jugoslavia aveva ulteriormente migliorato la sua posizione diplomatica, visto che gli americani la consideravano ormai un prezioso alleato, parte della linea difensiva europea di fronte al blocco sovietico. Forte di ciò, nel 1953 Tito si stava dimostrando più che mai intransigente nelle sue rivendicazioni, sia sull’annessione definitiva della zona B che su Trieste, probabilmente fomentato dai suoi ministri sloveni, visto che si trattava di garantire per il futuro l'unico possibile sbocco al mare sloveno. Nel discorso del 17 maggio, il dittatore jugoslavo agì d'astuzia, rintuzzando le accuse di imperialismo contro l'Italia, manifestando preoccupazione per la sorte degli sloveni di Trieste e rilanciando la massima rivendicazione: la città di Trieste. Dal lato opposto, Pella aveva preso il posto di De Gasperi alla guida del governo italiano ed aveva riscosso l'appoggio della destra parlamentare, anche annunciando la richiesta di attuazione della nota tripartita del 20 marzo 1948, che aveva ipotizzato la restituzione all'Italia dell'intero TLT.
In estate, la tensione toccò il culmine, con una dichiarazione di Tito sulla possibile annessione della zona B (secondo alcune fonti accentuata dall'agenzia statunitense United Press) cui Pella reagì inviando truppe in prossimità del confine, subito imitato da Belgrado. 
Fu poi Tito a irridere e sfidare gli italiani davanti a 250.000 persone con il discorso del 6 settembre a Sambasso, vicinissimo al confine goriziano, attribuendo le cause della tensione all’Italia e deridendone le potenzialità militari. L'8 ottobre inglesi e americani emanarono la nota bipartita, con cui ipotizzavano il loro ritiro dalla zona A in favore dell'Italia; in quel periodo, era ormai palese come gli alleati volessero porre fine al loro dispendioso impegno militare nella zona e stessero cercando di spingere Italia e Jugoslavia ad un accordo per una sistemazione definitiva. La nota, che sperava di calmare gli animi, ottenne invece l’effetto opposto, scatenando le proteste da parte jugoslava e violente ritorsioni contro gli italiani della zona B. Tito affermò che l'ingresso delle truppe italiane in zona A sarebbe stato considerato un atto di guerra contro la Jugoslavia, che in tal caso sarebbe intervenuta militarmente a Trieste. Per meglio comprendere l'agitazione che si viveva in città e lo scardinamento degli schemi politici tradizionali, basti pensare che lo stesso partito comunista triestino, per bocca del suo capo Vidali, parlò di circa 2.000 infiltrati jugoslavi in zona A per provocare disordini; fu sempre Vidali a dichiarare i comunisti triestini (in maggioranza “stalinisti” e quindi schierati contro Tito dopo il 1948) pronti a combattere in caso di invasione jugoslava.
L'autunno triestino era ormai incandescente: si organizzarono gruppi di cittadini pronti alla difesa, in parte spontanei e in parte espressione di vari partiti; anche il governo italiano, in accordo con esponenti politici locali, pianificò una difesa, finalizzata in particolare a fronteggiare possibili colpi di mano jugoslavi durante l’eventuale delicato periodo di passaggio di consegne, in caso la nota bipartita fosse stata messa in atto. A tal fine, l'esercito organizzò in gran segreto dei campi di addestramento militare in Friuli, che ospitarono per qualche giorno molti giovani volontari triestini. I documenti e le testimonianze fanno pensare, se non a un esplicito accordo, almeno alla conoscenza di tutto questo da parte del GMA.
In città certamente giravano delle armi, cosa non difficile a pochi anni dalla fine della guerra; delle altre vennero richieste da Diego De Castro al governo italiano, ma anche queste in funzione anti jugoslava e non certo contro gli alleati; un certo quantitativo fu effettivamente inviato dal Ministro Taviani, col fine di affidarle a gruppi di partigiani italiani coordinati dal reduce della Resistenza Martini Mauri, sempre in caso di invasione dell'esercito di Tito.
In più, va ricordato l’invio di fondi da parte dell’Italia, che caratterizzò buona parte del periodo di Governo Militare Alleato, distribuiti soprattutto attraverso il Comitato per la difesa dell’italianità di Trieste e dell’Istria, fondi che furono utilizzati in particolare per iniziative di propaganda.
Il governo italiano ebbe quindi un ruolo attivo in quel periodo caldo ed è inevitabile pensare che alcuni esponenti politici agirono semplicemente per rispondere alle richieste di aiuto che arrivavano dagli italiani di Trieste, mentre altri furono probabilmente spinti da interessi politico-elettorali, anche considerando l'emozione che la questione triestina stava suscitando in Patria.
Rispetto agli scenari descritti, è fuorviante la faziosa interpretazione di alcuni, ambienti, secondo i quali le manifestazioni per l’italianità di Trieste furono artificialmente indotte ed organizzate dall’Italia e l’entusiasmo dei triestini per il ricongiungimento alla Patria sarebbe un mito costruito ad arte dalla cultura ufficiale; è ben documentata, infatti, l’attiva e spontanea partecipazione della grande maggioranza dei triestini, elemento suffragato da copiose testimonianze, oltre che da documenti italiani ed alleati. Certamente va riconosciuto che, in parte durante i moti del ’53 ed ancor più nei festeggiamenti dell’ottobre ’54, arrivò anche molta gente da fuori, nella maggior parte dei casi spontaneamente, vista la viva emozione ed il risalto mediatico che la causa di Trieste aveva sollevato in tutta la nazione. Per farsi un’idea di chi fossero e da dove provenissero i protagonisti delle manifestazioni del novembre 1953, un buon indicatore si trova nella lista dei feriti accertati, cioè di coloro che fecero ricorso alle cure mediche. Un documento tratto dall’archivio della Lega Nazionale e pubblicato 10 anni fa stila un elenco di 113 nominativi: su 89 persone di cui è riportato l’indirizzo, 83 risultavano residenti a Trieste; su altri 20 di cui è riportato solo il luogo di nascita, 12 risultavano nati a Trieste.
In tale intricato contesto, furono i vertici militari inglesi a completare i presupposti dei più gravi incidenti, con una netta chiusura alle manifestazioni filo italiane ed in particolare col divieto di esporre il tricolore, proprio in un periodo denso di anniversari dalla potente carica simbolica (3 e 4 novembre). 
I vertici del GMA ed in particolare il generale Winterton erano molto diffidenti rispetto alle azioni del governo italiano, di cui si temeva un utilizzo spregiudicato degli scontri di piazza, se non addirittura un colpo di mano in stile dannunziano; si parlò più volte anche del presunto invio di “provocatori”, un vero spauracchio agitato però anche dalle altre parti in causa. Molti, ancor oggi, interpretano tale comportamento come retaggio della tradizionale avversione inglese verso l’Italia, oltre che con la velata simpatia che i britannici nutrivano per le istanze jugoslave, fin dal 1939-40, già prima del coinvolgimento balcanico nel secondo conflitto mondiale. I manifestanti triestini, in più, erano indispettiti verso gli inglesi anche per gli incidenti del 20 marzo 1952, quando la polizia aveva attaccato e cercato di disperdere i manifestanti con gli idranti. Più bonariamente erano visti invece gli americani, che non palesavano manifestamente tendenze filo slave e non parteciparono agli scontri coi manifestanti. I rapporti con gli inglesi erano poi ulteriormente peggiorati con il sequestro della bandiera italiana che il sindaco Bartoli aveva voluto esporre sul municipio il 3 novembre, lo scioglimento di due manifestazioni italiane lo stesso giorno, con la requisizione di altre bandiere ed i primi tafferugli tra manifestanti e polizia. La situazione iniziò a precipitare il 4 novembre, quando si riunì sulle rive un imponente corteo, in parte formato da persone rientrate dalle celebrazioni di Redipuglia, che marciò verso piazza Unità deciso a porre nuovamente il tricolore sul palazzo del Comune. Dall’opposizione della polizia civile sorsero i più violenti tumulti che durarono 3 giorni, con il nefasto esito ben noto.
E’ importante sottolineare come il 4 novembre fece la prima comparsa il famigerato Nucleo Mobile, sulla cui composizione giravano voci inquietanti, ma che in ogni caso era stato addestrato per reprimere gli scontri di piazza e che si segnalò per un comportamento determinato e spesso spregiudicato. Dopo il ritorno alla normalità, da più parti ed anche per bocca del sindaco, si ebbe la tendenza a distinguere le responsabilità della maggior parte degli agenti della Polizia Civile (in maggioranza triestini privi di avversità verso i manifestanti) da quelle di pochi ispettori, degli ufficiali inglesi che li dirigevano e del Nucleo Mobile in generale. In effetti, diverse testimonianze (una delle quali riportata dallo studioso Diego de Henriquez) riferirono che ufficiali inglesi ed elementi italiani del Nucleo Mobile minacciarono agenti della Polizia Civile affinché sparassero sulla folla. Un tanto è confermato anche da un rapporto inviato da un informatore locale all’Ufficio Zone di Confine (presso il governo italiano) che testimoniò l’intimazione data da alcuni agenti di sparare mirando i manifestanti dalle finestre e dal terrazzo della Prefettura, in piazza Unità. Le autorità inglesi dichiararono che, in tutto, furono sparati circa 100 colpi, nel tentativo di dimostrare che si trattò di un mero tentativo di difesa o di dissuasione, da parte degli agenti. I giorni seguenti, evidentemente, più di qualche agente decise di prendere le distanze dal comportamento di alcuni: 6 allievi, 6 dipendenti e 47 guardie della Polizia Civile decisero di dimettersi.
Il resto fa parte della cronaca, già esposta da molte opere editoriali e siti internet, con gli scontri del 4 novembre al rientro dei triestini che si erano recati a Redipuglia, la sottrazione di tricolori ai manifestanti, il sequestro della bandiera italiana esposta sul palazzo comunale, i mortali scontri del 5 in piazza Sant’Antonio e del 6 in Piazza Unità.
Concludendo, tutto il contesto delineato ed altre situazioni non approfondite per motivi di spazio vanno certamente considerati per una corretta comprensione di quegli eventi. Il contesto internazionale ed i retroscena politici certamente non sminuiscono il genuino slancio di migliaia di triestini, che in quei giorni manifestavano spontaneamente per la loro italianità a prescindere da certe dinamiche diplomatiche ed interessi politici.

Bibliografia:
De Castro, La questione di Trieste, Lint, Trieste, 1981,
AAVV, I ragazzi del '53, Italo Svevo, Trieste, 2003,
AAVV, La sconfitta rimossa - A sessant'anni dal Trattato di Pace, Italo Svevo, 2007
Tombesi (a cura di), 1945 - 1954 Moti giovanili per Trieste italiana all'epoca del GMA, Del Bianco, Udine, 2005

giovedì 31 ottobre 2013

Intervista a Luigi Mamilli di Trieste Pro Patria

Riportiamo l'intervista realizzata da Lorenzo Natural, pubblicata su La Gazzetta Giuliana del 27/09/2013.


Brevemente, ci può delineare come, quando e perché nasce il comitato Trieste Pro Patria?
Trieste Pro Patria nasce quando dei privati cittadini decidono di ribadire il sentimento di italianità della città di Trieste, in un momento in cui questo viene osteggiato da più parti, in particolare da un movimento neoindipendentista che si rifà a un fantomatico Stato che non è mai nato, il Territorio Libero di Trieste, e che, facendo leva sulla disperazione della gente dovuta alla crisi economica, sta riportando in auge sentimenti anti-italiani che una città come Trieste non può tollerare sotto nessun punto di vista. Abbiamo aspettato invano che le istituzioni intervenissero fin tanto che abbiamo deciso di intervenire noi, da soli.

Il vostro è, come sottolineate, un movimento apartitico: tuttavia siete stati da più parti accusati di essere ricettacolo della «nociva destra cittadina». Cosa rispondete in merito?
La trasversalità è garantita ed è un principio costituente del comitato. Detto questo, attualmente – è inutile nasconderlo – le persone che formano il comitato provengono prevalentemente dall'area della destra locale. Tuttavia la trasversalità delle tematiche che andiamo a toccare, quali la difesa dell'italianità e del tricolore, crediamo debbano essere condivise da tutte le parti politiche, pertanto siamo aperti anche a persone di altre appartenenze politiche, anzi, alcune si sono già avvicinate al nostro comitato e non abbiamo alcun tipo di preclusione.

Trieste Pro Patria è salito alla ribalta il 15 settembre scorso, quando nella mattinata è sfilato il “Corteo Tricolore” che ha portato in strada circa 300 persone, secondo i dati della questura. Nel pomeriggio si è svolta una seconda manifestazione, quella indetta dal Movimento Trieste Libera, che ne ha portato, invece 3500, sempre secondo la questura. C'è stata la volontà di porsi in antagonismo con il MTL? Vi ritenete soddisfatti della partecipazione alla vostra manifestazione?
Dal punto di vista partecipativo non possiamo che ritenerci soddisfatti: sfidiamo qualunque movimento triestino, nato e organizzatosi in tre settimane, a portare in piazza un simile numero di persone. Al di là di questo, noi non avevamo nessuna intenzione di paragonarci e di raffrontarci a qualsivoglia movimento antagonista che possa manifestare per qualsiasi tipo di argomento; noi siamo scesi in piazza perché il 15 settembre rappresenta l'entrata in vigore del Trattato di Pace di Parigi del 1947 che ha determinato dei confini che sono, come citato nel nostro volantino, dei confini iniqui e antistorici che hanno separato l'identità nazionale di tutta la Venezia Giulia, in particolare la regione istriana e le città di Fiume e Zara.

A proposito di Venezia Giulia, come vedete l'istituzione di una regione con due provincie autonome sulla falsariga del Trentino-Alto Adige: quella del Friuli, con Udine suo centro naturale, e quella della Venezia Giulia appunto – quindi Bisiacaria e Goriziano compresi – con Trieste?
Partendo dal presupposto che attualmente non ci siamo ancora posti degli obiettivi politici perché è francamente prematuro l'idea di un'autonomia maggiore per un'ipotetica provincia della Venezia Giulia e per la città di Trieste sarebbe, a mio esclusivo avviso, da perseguire, in quanto anche le peculiarità storiche della città richiedono una capacità di autoamministrarsi che debba essere slegata dalla restante parte della regione.

Ha parlato di Trieste come città sui generis nel contesto italiano. Tornare a discutere di nazionalismo in queste terre non può essere percepito come antistorico in una città che per conformazione e per storia ingloba tutta una serie di altre anime etniche, linguistiche e culturali?
Noi non portiamo avanti idee nazionalistiche, ma idee patriottiche, la differenza è ben evidente: nazionalismo ha l'idea di sovrapporsi alle altre anime culturali della città, noi non vogliamo assolutamente questo. Vogliamo però che venga riconosciuta l'italianità che da sempre contraddistingue Trieste nel massimo rispetto delle minoranze che riteniamo debba essere assolutamente garantito.

In questi ultimi giorni, soprattutto sui medium di comunicazione del web, la percezione è che i toni si stiano alzando in maniera pericolosa e rischiano di portare a uno scontro oserei dire civile fra concittadini, anche a fronte dell'inadeguatezza delle risposte delle istituzioni sulla questione.
Assolutamente sì: si sta creando una vera e propria frattura sociale. Partendo dalla mia considerazione personale che la stragrande maggioranza della società civile triestina si senta abbastanza estranea a quest'idea ormai passata di isolazionismo e indipendentismo che non sarebbe sostenibile per una città come Trieste per come è strutturata sia geograficamente sia economicamente, l'innalzamento dei toni è preoccupante, soprattutto dal punto di vista della discriminazione che determinate persone stanno portando avanti nei confronti di tutto ciò che è italiano (in un'uscita stampa l'abbiamo definita “italofobia”). Ciò è pericoloso non tanto perché abbiamo paura che un ipotetico TLT possa essere istituito: ci preme impedire che idee anti-italiane vengano tramandate di generazione in generazione, perché questo sì, sarebbe antistorico.

Sull'ipotesi del TLT il Movimento Trieste Libera è, invece, molto chiaro: dal punto di vista giuridico ci sono i documenti che ne sanciscono l'effettiva esistenza. Come vi ponete a riguardo?
Noi partiamo dal presupposto che ci poniamo come riferimento dell'italianità della città. Le prove giuridiche non avrebbero senso nemmeno di esser presentate in quanto illustri esperti di diritto internazionale, come Udina, si sono già espressi ampiamente sulla questione, che è stata chiusa con la stipula del Trattato di Osimo del 1975 con la quale la Repubblica Italiana e quella Jugoslava hanno deciso di delimitare con dei confini – perché questo dice il tratto – i due Stati. Ci stiamo adoperando per smentire anche noi le prove giuridiche anche perché molte persone illuse da promesse irrealizzabili stanno mettendo a rischio anche i propri risparmi non volendo pagare le tasse in nome di uno Stato che non è mai esistito, ricordiamolo.

Il 15 settembre avete manifestato, citando il vostro volantino, «per chi crede nonostante tutto nella Patria distinguendola dal degrado della politica affaristica». Quali sono secondo voi le ricette per ridare a Trieste un ruolo di preminenza sociale, culturale ed economico?
Crediamo che un rilancio economico passi prima di tutto dalla presa di coscienza di quello che Trieste può e dovrebbe fare. Crediamo che movimenti che propugnano il TLT giochino un po' allo scaricabarile riversando tutte le responsabilità sullo Stato Nazionale non volendo prendere le responsabilità che la città dovrebbe prendersi. Da 60 anni viviamo in una società civile frammentata sia politicamente sia socialmente, e questo è stato l'ostacolo principale che non ha permesso alla città di svilupparsi.

Anche per quanto riguarda il Porto Franco?
Senza entrare in materia economica, l'utilizzo del porto non è stato incentivato né implementato a causa soprattutto dell'insipienza e dell'incapacità delle istituzioni locali e regionali.

Per concludere: quali sono i progetti di Trieste Pro Patria? L'attività continuerà?
Certamente. La nostra attività non è legata all'esistenza di qualcun altro, teniamo a sottolinearlo. A breve renderemo pubbliche altre nostre iniziative e speriamo che quante più persone amano questa città e questo Paese ci seguano ricordando che noi non portiamo avanti istanze partitiche e politiche e che il nostro comitato ha una carattere eterogeneo e siamo aperti a tutti.

mercoledì 30 ottobre 2013

26 ottobre 2013: 59° anniversario del ritorno di Trieste all'Italia


Il 26 ottobre 2013 ricorreva il 59° anniversario del ritorno di Trieste all’Italia e naturalmente non potevamo mancare all’appello, in occasione dell’alzabandiera solenne tenuto in piazza dell’Unità d’Italia. Nonostante la giornata uggiosa, erano comunque presenti alcune centinaia di persone ed anche noi abbiamo dato il nostro contributo, con una buona partecipazione, come sempre colorata, fiera e compatta dietro al nostro striscione. Dopo l’alzabandiera e l’inno d’Italia cantato da tutti, dopo l’uscita di scena del plotone di Lanceri, abbiamo spontaneamente attraversato la piazza in corteo fino al municipio, raccogliendo con soddisfazione gli applausi di molta gente.
Subito dopo, una nostra delegazione ha seguito la solenne commemorazione dei 6 caduti nei fatti del novembre 1953, svoltasi nella sala del consiglio comunale alla presenza del sindaco e delle autorità, organizzata dalla Lega Nazionale.
E’ per noi molto importante sostenere le manifestazioni commemorative e patriottiche che, dopo tanti anni e nell’attuale contesto di crisi dei valori tradizionali, si stavano un po’ affievolendo. Non si tratta certo di vivere guardando solo al passato, ma di costruire un degno futuro partendo dalle solide basi delle nostre radici e della nostra storia.
Persiste ancora oggi in certi "ambienti" triestini la leggenda metropolitana secondo cui l'entusiasmo e la partecipazione per il ritorno di Trieste all'Italia dopo la parafatura del Memorandum di Londra nel 1954 furono di pochi e che la maggioranza dei triestini era contraria se non indifferente alla così detta "Seconda Redenzione"; pertanto, la stragrande maggioranza delle persone che accolsero esultanti le truppe italiane, i bersaglieri, non erano triestini ma gente venuta da fuori città, anzi mandata dal Governo italiano a manifestare per l'occasione. Anche la sollevazione popolare del 1953 contro il Governo Militare Alleato, dai seguiti luttuosi, viene dagli stessi "ambienti" sminuita nei fatti e ridotta a gazzarra creata da pochi, scalmanati e prezzolati elementi, in massima parte provenienti dalle regioni italiane limitrofe. Insomma il tripudio e l'entusiasmo che si sono visti da parte della popolazione per l'arrivo delle truppe italiane a Trieste in quegli indimenticabili giorni sono candidamente negati contro ogni evidenza storica della realtà dei fatti, documentati da copioso materiale fotografico, da filmati e servizi giornalistici diffusi in tutti il mondo, oltre che da una sterminata documentazione storica e memorialistica.
Molto interessante, in tal senso, il sobrio racconto di Gabrio de Szombathely nel suo libro “A Trieste sotto 7 bandiere”: “Verso le 11.45 ci fu offerto in cambio lo spettacolo dell’arrivo del cacciatorpediniere Grecale, bello, lungo, grigio, che attraccò alla banchina proprio davanti alla piazza ed altrettanto fece un secondo cacciatorpediniere italiano alla banchina di sottovento del molo Audace, zeppo fino all’orlo di persone ed ombrelli e non so come in quella calca le due navi riuscirono a distinguere sul molo le bitte cui assicurare i loro cavi d’ormeggio. 
Ma lo spettacolo più bello fu il bandierone italiano sventolante sul Grecale: e per me fu quella la settima bandiera; non era la bandiera del 1918 con lo stemma sabaudo e lo stemma reale, ma quella della Repubblica italiana, con l’emblema della Marina Militare e gli stemmi delle quattro Repubbliche Marinare […] Sulla balconata della Prefettura il generale De Renzi pronunciò un messaggio di saluto alla città, avendo accanto a se il buon Gianni Bartoli, che finalmente portava la fascia tricolore di sindaco italiano. Anche la parata militare andò a monte; nel pomeriggio, il bravo sindaco Bartoli tenne sulla stessa piazza un commosso discorso, commemorante le trascorse sciagure, la decisione di resistere a ogni costo, il ritorno dell’Italia, il rinnovo della Redenzione; ed aggiunse il proposito di arrivare in futuro ad un’Europa unita e ad un Adriatico riappacificato; e di poter anche arrivare ad un non lontano avvenire di libertà per tutti i giuliani, profughi e non. Nei giorni seguenti il generale De Renzi trasmise i poter civili al Commissario Generale del Governo per Trieste, il Prefetto Giovanni Palamara, il quale provvide ad inserire nell’ordinamento burocratico italiano i vari uffici del cessato GMA.
Questo rimaneggiamento persuase i triestini di essere ridiventati sudditi italiani anche se di confine e ne ebbero la più autorevole e gradita conferma già la settimana dopo, quando la città ebbe l’onore di essere visitata, il 4 novembre del ’54, addirittura dal Presidente della Repubblica Luigi Einaudi […] La sua venuta a Trieste in forma ufficiale per il 4 novembre, festa nazionale, attirò in piazza e sulle rive quello che fu certamente il massimo concentramento di folla della sua storia e per quel giorno il signore Iddio riservò alla città un tempo splendente […] Una folla impenetrabile sostava davanti alla tribuna presidenziale e lungo tutta la riva dal molo Bersaglieri al molo Audace e dietro riempiva tutta la piazza. Fu uno spettacolo indimenticabile, incorniciato dall’azzurro del cielo e del mare. Il Presidente della Repubblica […] decorò di persona il gonfalone del Comune di Trieste con la medaglia d’oro al valor militare, in ricordo anche dei suoi ultimi figli caduti in quella stessa piazza. Seguì un perfetto sfilamento in parata di soldati, finalmente italiani, tra incessanti applausi. Dopo la sfilata dal balcone del municipio parlarono il Presidente del Consiglio Scelba ed il sindaco Bartoli ed ancora, nell’antica Cattedrale di San Giusto, Mons. Antonio Santin, vero Defensor Civitatis in tempi burrascosi, come i Vescovi del Medio Evo […] chiuse il suo discorso con queste parole: “Giorno verrà che quando il volto offuscato della giustizia brillerà nel consesso dei popoli nuovamente liberi e pacificati, quel giorno, non solo le campane di San Giusto ma anche quelle di tutte le città fiorite sulle nostre marine suoneranno a festa”.

Negli anni sono state raccolte e pubblicate numerose testimonianze di triestini che in quella piovosa giornata di ottobre del 1954 hanno festeggiato per le vie e le rive della città. Abbiamo scelto di proporvi alcuni ricordi che abbiamo raccolto personalmente, riportati da chi in quei giorni era appena un ragazzino, ma dopo tanti anni ha ancora impressi nella mente emozioni, fatti, sensazioni. 
Adriana: “C'ero anch'io con tutta la mia classe il 26 ottobre 1954, in quella piazza Unità stracarica di triestini, sotto una pioggia torrenziale con gli ombrelli rotti dai refoli di bora. Il 4 novembre successivo, il tempo si fece bello ed eravamo di nuovo tutti là in piazza e sulle rive ad attendere l'arrivo dei primi militari italiani, che erano attesi già a Duino da molti triestini muniti dei mezzi necessari a recarsi al posto di blocco. Non c'era finestra che non avesse il tricolore ed i tessuti bianchi, rossi e verdi erano esauriti in tutti i negozi cittadini. Lo stesso per i nastri tricolori.
Piero: Io c'ero, ero un ragazzino di nove anni, in una foto di quei giorni sono in posa davanti al "Grecale" che fu il primo ad attraccare a Trieste; il ricordo di quei momenti è, nonostante gli anni passati, sempre vivo, presente, indimenticabile! Direi che la documentazione fotografica più o meno nota e i documenti filmati di repertorio che spesso si vedono parlino da se; non vorrei fare della retorica ricordando che c'era una marea di gente in Piazza e lungo le Rive, mai vista così tanta in centro città, tanto che non si riusciva a muoversi, nonostante il tempo non fosse sempre clemente ed anzi pioggia e bora la fecero da padrone in certi momenti; c'era chi piangeva e chi rideva per la gioia, gente che letteralmente assaliva i bersaglieri appiedati o sui camion, chiedendo o strappando loro dal copricapo una piuma o una stelletta; gente che si abbracciava, gente che gridava, gesticolava sventolando il tricolore; gente che faceva la fila accalcandosi per visitare le navi, soprattutto la splendida Amerigo Vespucci pavesata a festa per l’occasione. Insomma, fu un vero e proprio delirio di un’intera città imbandierata come mai, che durò dei giorni; la sera si ritornava a casa stanchi, intontiti e felici”.
Ileana: Il broncio, senza lacrime, senza bizze, solo il silenzio, offeso e risentito, di una bimba di quattro anni e mezzo, lo ricordano, ancora, mia madre ed i miei due zii materni, gli unici adulti di famiglia ancora viventi che vissero quella memorabile giornata. La bimba offesa ero io, il broncio ed il risentimento erano miei... Quale era il torto che avevo subìto? A me, in piazza, non mi avevano portata. In città, in Piazza Unità, ci erano andati tutti, ma proprio tutti, tranne la nonna che aveva accudito me. C’erano andati i miei genitori, i nonni, gli zii materni e paterni, le prozie con i consorti, i cugini e le cugine di mamma e papà con mogli e mariti, persino una bisnonna, per non parlare degli amici di famiglia! Io, invece, a casa. Vedevo le case imbandierate: tricolore, tricolore ovunque, pendeva dalle finestre, dai balconi, era in ogni dove. L’euforia dei “grandi” e la loro emozione era evidente ed incontenibile: il caseggiato dove abitavamo, di solito vivace, era più silenzioso del solito, perché molti erano andati in piazza. “Troppo piccola da portare in tanta folla”, tentarono di spiegarmi. Io pensavo solo che mi avevano lasciata a casa, mentre fuori qualcosa di grande, di bellissimo, stava accadendo. Era il 26 ottobre, QUEL 26 ottobre. Era…l’Italia!Finalmente! Era il 26 ottobre 1954. Ad un certo punto, nonna vide passare un primo mezzo militare. Portò una sedia davanti alla finestra e mi mise in piedi su di essa, mentre lei mi teneva in un abbraccio che mi sembra ancora di sentire. Guardammo fuori. Vidi passare una camionetta militare, e poi un camion. Stretta nell’abbraccio di nonna, i cui occhi non erano più asciutti, guardai con meraviglia ciò che stavo vedendo. Non che non avessi mai visto mezzi militari e divise, li vedevo dalla nascita. Ma questi erano diversi. Questi erano come noi: italiani! E questo, io, non l’avevo mai visto.
Ricordo quando rientrarono mamma e papà. Ricordo quant’era bella mia madre, nello splendore della sua gioventù, ricordo quant’era raggiante, euforica, la rivedo distintamente in quel momento, sorridente e felice che veniva verso di me: mi consegnò delle stellette dalle divise di qualche militare e una piuma dal copricapo di un bersagliere. Seppur con il broncio e non ammansita, presi tutto. Guardai la piuma: al primo momento sembrava scura, ma muovendola nelle mani mi accorsi che aveva dei riflessi di colore cangiante.
I miei raccontavano a mia nonna della folla, immensa, in delirio: “Iera tutta Trieste!” ripetevano. Raccontavano degli abbracci dati ai nostri soldati, dei triestini che si arrampicavano sui mezzi militari, di Trieste che gridava “Italia! Italia! Italia!”. Poi cominciarono a rientrare anche gli altri, e ci fu un andirivieni di parenti e amici, vicini, festosi ed euforici. Tutti a ripetere quella frase che faceva crescere e rinsaldare il mio disappunto per l’esclusione subìta, “Iera tutta Trieste!” ripetevano. Nei giorni che seguirono mi ricordo che c’erano feste e balli. Conservo ancora una foto di mia zia ad una di queste feste mentre balla con un nostro soldato.
Così fu, in quella giornata, a Trieste. Fu commozione, felicità, euforia. Nella pioggia battente i triestini celebravano ciò che con il cuore avevano atteso e ciò per cui con determinazione avevano lottato per lunghi anni: riabbracciare l’Italia e sventolare, liberi, il tricolore. E il confine? Quel iniquo confine a Duino? Era diventato un niente, come una bestia dalla bocca sdentata che non può mordere più. Mentre Trieste era, finalmente, a casa".

Alvino: "Peggior aiuto di così il tempo non poteva dare ai soldati italiani. Pioggia e bora, bora e pioggia tutto insieme, forse nell'intento di trattenere i Triestini nelle loro case. Quasi temevo che ci fosse poca gente in città, ma ben presto fui tranquillizzato: le case si svuotavano, le automobili sfrecciavano verso il centro e famiglie intere, uomini, donne, ragazzi, bimbi e vecchi scendevano la collina (il Colle di San Vito) riparandosi alla meglio con i più svariati mezzi di fortuna nelle zone battute, ed aprendo ogni tanto qualche ombrello nei punti di bonaccia.
La marina era nera di gente, potemmo avvicinarci a Piazza Unità d'Italia alla distanza di 300 metri al massimo. Più in là era impossibile penetrare, tanto la calca era fitta. Finimmo col separarci; mia moglie Alda con i ragazzi, girando per vie interne riuscì a raggiungere il Palazzo dei Lloyd Triestino e ad entrarvi. lo, avvolto nel mio impermeabile da caccia, mi arrampicai sulle sartie di un peschereccio di altomare per vedere almeno da lontano l'arrivo delle navi. Sui tetti delle case vicine, alle finestre, agli abbaini ed in qualunque luogo si potesse scorgere il mare c'era gente che guardava ed agitava bandiere, nastri, drappi e fazzoletti bianchi rossi e verdi. Una folla immensa sotto la bora e la pioggia violenta.
Quanti ombrelli sfilavano davanti a me portati in mare da qualche refolo capriccioso che sconvolgeva le zone di calma.
Era un urlo continuo: "Giungono! Arrivano! Ecco le navi! Ecco i Bersaglieri!" E via, un correre da una parte all'altra per vedere i nuovi arrivati .... che spesso non erano affatto arrivati! Finalmente apparvero davvero le navi. Fra gli spruzzi delle onde apparve un caccia, poi l'incrociatore e poi ancora gli altri due caccia. La gente sembrava impazzita; era tutto un gridare, un agitarsi forsennato. Undici anni di attesa, undici anni di ansia sfociavano in un immenso grido, in uno slancio incredibile ed inimmaginabile per chi non lo abbia vissuto, verso le navi della Patria che giungevano in porto.
Intanto da terra giungevano i Bersaglieri. Oltre un'ora avevano impiegato con gli autocarri per fare sì e no un chilometro o poco più. Non c'erano più cordoni, non c'era più limite a trattenere l'entusiasmo. Gli autocarri erano zeppi di Triestini. Erano entrati dappertutto; ed i poveri soldati pigiati dentro, mezzo soffocati dal grande abbraccio di tutto un popolo! Come riuscissero a guidare gli autisti è una cosa che non potrò mai spiegare. Sul cofano, sui parafanghi, sull'imperiale, ovunque ci fosse il più piccolo appiglio c'era arrampicato un giovane o una ragazza.
Ogni tanto appariva qualche cappello da Bersagliere ed una mano toglieva le penne per donarle ai molti, ai troppi richiedenti. Quanti Bersaglieri ho visto senza la minima traccia di penne sul cappello. Qualcuno ci rimise il cappello, altri la giubba. Di bottoni sulle giubbe ne rimasero pochini perché ogni cittadino pretendeva un ricordo dal primo soldato che riusciva ad avvicinare.
E gli autisti continuavano a guidare, un metro alla volta. Insomma, malgrado le difficoltà di guida, non avvenne nessun incidente e tutto filò liscio liscio, così come lo poteva permettere l'entusiasmo dei cittadini che sovverti l'ordine di ogni ben studiata cerimonia.
Anche l'assalto alle navi ebbe luogo a tempo debito, non appena accostarono, ed i marinai non poterono far altro che aiutare i molti giovani d'ambo i sessi che s'erano lanciati all'arrembaggio. In pochi momenti a bordo si vedevano più borghesi che marinai e nulla riusciva a trattenere gli assaltatori, neppure le onde, il vento e la pioggia che sulla riva facevano il diavolo a quattro".
Questo fu lo stato d'animo di gran parte dei triestini ed è questa l'eredità che noi vogliamo raccogliere, il passato che vogliamo tramandare, sono questi i valori che ci danno forza per affrontare il futuro.



martedì 17 settembre 2013

15 settembre 2013: Trieste Pro Patria scende in piazza



Il 15 settembre 2013 è stata una giornata di svolta per Trieste e per tutti noi, uno di quei giorni in cui si capisce che qualcosa è cambiato, che non si torna più indietro. Alla prima manifestazione di Trieste Pro Patria, hanno risposto al nostro appello poco meno di 400 persone, dopo solo poche settimane di organizzazione, con scarsi mezzi e nessun supporto finanziario, se non derivanti dal nostro impegno e dai nostri contributi personali.
Ogni momento di questa mattinata resterà indelebile nei nostri ricordi: le ultime ore di frenetica organizzazione, il Largo Bonifacio sempre più gremito di gente, il ricordo del Beato istriano Francesco Bonifacio, il corteo con la corona, il nostro striscione ed un mare di tricolori, le associazioni che ci attendevano in Sant'Antonio ed il “presente” gridato al cielo, in memoria dei caduti del '53 per Trieste italiana.
Per noi è stata una grande vittoria, anche perché abbiamo piacevolmente riscontrato una partecipazione fortemente eterogenea: ci hanno seguito giovani, giovanissimi ed anziani, uomini e donne, famiglie con bambini al seguito, gente di ogni provenienza sociale e di diverse estrazioni politiche, tutti uniti dalla loro identità italiana e dal loro amore per Trieste. A questo proposito, a smentire alcune sciocchezze circolate sulla rete, sottolineiamo che non abbiamo voluto invitare gruppi provenienti da altre città, ma abbiamo contato solo sulla partecipazione dei triestini che si identificano con i nostri ideali; sono peraltro intervenute spontaneamente, comunque gradite ospiti, poco più di una decina di persone provenienti da varie zone d'Italia, che hanno tenuto ad essere presenti in quanto originarie di Trieste o dell'Istria.

Vogliamo ribadire ancora una volta che non si è certo trattato di una “contromanifestazione”, formula che non ci interessa e non rientra nella nostra mentalità. Se siamo scesi in piazza in questa giornata è perchè volevamo ribadire il senso di questo anniversario, una data che fu vissuta come una tragedia nelle nostre terre e dalla nostra gente, ma che oggi, con un'incredibile amnesia storica e identitaria, qualcuno vorrebbe proporre come una festa.
A seguito di quel trattato di Pace firmato il 10 febbraio ed entrato in vigore il 15 settembre del '47, furono cedute alla Jugoslavia ben 3 province italiane, facendo così pagare le colpe dell'Italia alle sole popolazioni d'Istria, Fiume e Zara; le conseguenze della guera perduta furono caricate su gente incolpevole, che per effetto di quell'iniquo trattato furono costrette a lasciare per sempre le loro case, il loro lavoro, le città e la terra dei loro avi; si sparsero per il mondo molte migliaia di nostri fratelli e con essi una cultura dalle radici antichissime. Anche a Trieste, quel 15 settembre del 1947, nessuno festeggiava né il distacco dall'ITALIA né la teorica nascita del TLT, che allora era stata accolta con sorpresa, come una soluzione assurda ed inaspettata, adottata solo perchè le grandi potenze non erano riuscite ad accordarsi in altro modo sul confine italo-jugoslavo.
E' quindi completamente fuori strada chi propone inadeguati paragoni con la manifestazione indipendentista svoltasi a Trieste poche ore dopo, che ha portato in piazza qualche migliaio di persone; noi di Trieste Pro Patria non abbiamo mai inteso la manifestazione come una sfida, non si trattava di una gara di numeri né ci illudevamo di essere più numerosi dei manifestanti di idee opposte. In ogni caso, il confronto tra i due cortei è improponibile per molti motivi, dai diversi mezzi finanziari a disposizione, dai tempi di preparazione molto più stretti ed anche perché, indubbiamente, nei periodi di crisi economica e sociale, i movimenti di protesta hanno buon gioco a raccogliere consensi, a prescindere dai contenuti; è evidente che, oggi, chi parla male dell'Italia trascina facilmente con sé tanta gente stanca, delusa e sfiduciata, che spesso non distingue tra il mal governo della classe politica e la Patria, la cultura, l'identità. A noi non interessa affatto alimentare la solita “guerra dei numeri”, di quelle finalizzate a monopolizzare le opinioni degli assenti, di coloro che, per i più svariati motivi, non sono scesi in piazza. Anche in questo caso, i triestini che non hanno ritenuto opportuno esprimersi sono stati di gran lunga la maggioranza. Una “maggioranza silenziosa” che, evidentemente, non ha ritenuto di dover scendere in piazza per le nostre motivazioni, ma neanche per mettere in discussione l'attuale appartenenza di Trieste all'Italia, cosa assolutamente ovvia per i più. Il nostro intento, lo ribadiamo, non era quello di monopolizzare idee altrui o pretendere di rappresentare la città, bensì ricordare la nostra gente che subì incolpevolmente le conseguenze del “trattato diktat” e chi donò la propria vita per l'italianità della città. Ci siamo mobilitati, insomma, per riaffermare la nostra cultura, la nostra identità, per Trieste e per l'Italia.
La gioia più grande, al termine di questa giornata intensa, è stata la soddisfazione di aver dato vita ad un gruppo affiatato, ad una Comunità capace di compiere sacrifici, incontrarsi quotidianamente, dividersi i compiti ed infine portare in piazza circa quattrocento persone. Questa è la nostrea realtà. ANDIAMONE FIERI!