lunedì 29 giugno 2015

Presentazione atti del convegno "E se tornano i titini?"

Il 26 giugno la Lega Nazionale e Trieste Pro Patria hanno organizzato congiuntamente la presentazione di questo importante lavoro, che riassume i temi trattati in un convegno, con i contributi di Paolo Sardos Albertini, Lorenzo Salimbeni, Paolo Radivo, Ivan Buttignon, William Klinger, Mattia Zenoni, Andrea Vezzà, Michele Pigliucci.
Il 12 giugno '45 i titini lasciano Trieste, ma la città di San Giusto visse gli anni successivi sotto il segno di quel terrore.
"E se tornano i titini?" sarà la domanda angosciosa che peserà fino al 26 ottobre '54, quando ci saranno finalmente i soldati d'Italia a garantire contro il ritorno degli uomini con la stella rossa.

Questo il tema di fondo ed il filo conduttore di questo prezioso libro, che però affronta approfondimenti di diversi e specifici aspetti di quel periodo, da parte dei giovani studiosi che collaborano con la Lega Nazionale. Nella presentazione svoltasi presso la Lega Nazionale, il Presidente della Lega Sardos Albertini e Gabriele Bosazzi di Trieste Pro Patria hanno illustrato ai presenti i contenuti salienti di questo lavoro, evidenziando spunti di riflessione interessanti ed originali, che vanno ben al di là dalle consuete e più generiche trattazioni di quel delicato periodo storico.
Riportiamo di seguito alcuni dei passi che riteniamo più interessanti.

Tratto dal saggio di Ivan Buttignon "L'abbandono della dichiarazione tripartita e la linea filo-jugoslava degli alleati (1950-54)"
IL VESCOVO ANTONIO SANTIN
Mons. Antonio Santin, Vescovo di Trieste e Capodistria, ha pronunciato il primo giorno dell'anno (1950), in San Giusto, una allocuzione, nella quale egli rileva come "sotto la maschera di una distensione che è pura ipocrisia, continuano in zona B le spietate persecuzioni contro la Chiesa (...) Lo scopo cui tendere dovrebbe essere l'evacuazione della zona B da parte delle truppe jugoslave e la loro sostituzione con quelle alleate. Ma vorranno intervenire i governi di Londra e di Washington? Tutto fa ritenere di no, ché da essi, purtroppo, la tragedia della zona B non è minimamente sentita. Né il governo italiano sembra prendere a cuore, come forse potrebbe, la tristissima sorte di questi disgraziati fratelli".

Tratto dal saggio di Paolo Radivo "Ritorno a metà"
IL MEMORANDUM DI LONDRA

Il paragrafo 9 disponeva che il Memorandum sarebbe stato comunicato al Consiglio di sicurezza dell'ONU. Ciò avvenne lo stesso 5 ottobre 1954. Nessuno degli stati firmatari del Trattato di Pace protestò, nemmeno l'URSS (come invece temevano americani e britannici) accettando così implicitamente la cancellazione degli articoli 4 (confini tra Italia e TLT), 21 (istituzione del TLT) e 22 (confini tra Jugoslavia e TLT), nonché gli allegati VI (statuto permanente del TLT), VII (strumento per il regime provvisorio del TLT) IX (disposizioni tecniche relative al TLT), X (disposizioni tecniche e finanziare relative al TLT) e degli ultimi 6 articoli dell'VIII (strumento per il porto franco di Trieste).


Tratto dal saggio di Andrea Vezzà "Il ruolo della destra triestina tra il 1945 e il 1954"
LE GIORNATE DEL 1953

A pagare il prezzo più alto delle tre giornate di rivolta è il M.S.I. Quattro dei sei caduti gravitavano nel partito, che vede anche la propria sede devastata dall'irruzione della Polizia Civile in cerca di armi - che regolarmente non trova - e molti dei propri iscritti arrestati o costretti a darsi latitanti oltre confine. Nuovamente le autorità angloamericane attribuiscono alla destra tutte le responsabilità degli incidenti, accusandla anche della preordinazione di un violento piano insurrezionale. Ma il M.S.I. non ha la forza né la volontà di scontrarsi in piazza con un esercito straniero. Si trova semplicemente coinvolto in prima fila nella reazione a una provocazione che è andata troppo oltre e per questo motivo ha versato più degli altri il proprio tributo di sangue alla seconda Redenzione di Trieste.

 

giovedì 11 giugno 2015

Ricordo del primo bombardamento alleato su Trieste



Il 10 giugno 1944 i bombardieri alleati sganciarono circa 400 bombe incendiarie su Trieste, provocando 466 vittime accertate, 800 feriti ricoverati e 1.500 medicati, oltre 100 edifici completamente distrutti, 300 danneggiati e qualche migliaio di senza tetto. Nel 71° anniversario, Trieste Pro Patria ha doverosamente ricordato una strage perpetrata ai danni della popolazione civile inerme e stremata dalla guerra; fu uno dei tanti simili crimini registrati all'epoca, ma oggi dimenticati dai più.
Tra i maggiori obiettivi vi furono il porto nuovo di Sant’Andrea ed i vicini cantieri, ma la gran parte delle vittime si registrò nel popolare rione di San Giacomo; molti spiegano questo fatto con la vicinanza del quartiere ai suddetti obiettivi strategici, avvalorando la tesi di un errore; ma è opinione diffusa come buona parte dei bombardamenti anglo-americani avevano anche la funzione di seminare il malcontento tra la popolazione, di fiaccarne la resistenza, assumendo in pratica il ruolo di atti terroristici. In questo senso, peraltro, Trieste poté ritenersi fortunata rispetto a molte altre città italiane che piansero un numero di vittime ben maggiore, da parte delle cosiddette fortezze volanti alleate. Altri meno disastrosi bombardamenti si susseguirono nei mesi successivi, causando però un altro centinaio abbondante di vittime. Oggi si tende a liquidare simili atti come un inevitabile corollario della guerra, minimizzando le responsabilità di chi decise quelle incursioni, nella solita logica della storia scritta dai vincitori. Noi teniamo invece a rimarcare la responsabilità pesante di inglesi e americani, per aver deliberatamente causato in varie parti d’Europa un numero enorme di vittime civili evitabili, nel nome dei loro interessi, non solo bellici. Ricordiamo altresì che quelle azioni aprirono in pratica le porte ad un lungo processo di colonizzazione militare, economica e culturale, che ci siamo portati dietro sino ai giorni nostri.
Questa commemorazione, quindi, si pone in coerenza con la raccolta firme contro il TTIP (Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti) alla quale abbiamo partecipato, come riferito in altro articolo. La storia spesso si ripete, pur in altre forme e modalità; chi 71 anni fa bombardò le nostre terre, ha continuato fino ad oggi a cercare di confinare le direttrici di sviluppo del nostro Paese e del nostro continente entro una gabbia di schiavitù economica e culturale.
In linea con questo pensiero abbiamo esposto lo striscione "PIU' DELLA SCHIAVITU' TEMO LA LIBERTA' PORTATA IN DONO".