Il
1 giugno Trieste ha accolto il Giro d'Italia. Noi c'eravamo, coi
nostri tricolori e con tutto il nostro orgoglio, per un evento che ha portato in città
tanta gente ed una ventata di vita e di positività, che ha
contemporaneamente portato in tutto il mondo le immagini della nostra
splendida città, offrendole una grande occasione di visibilità.
La
conclusione del Giro d’Italia proprio a Trieste è stata congegnata
dichiaratamente per rendere omaggio al 60° anniversario del ritorno
di Trieste all’Italia. Anche per questo, pur rifiutando qualsiasi
logica di strumentalizzazione di un evento sportivo, abbiamo scelto
di essere presenti, col nostro entusiasmo, coi nostri tricolori e con
tutto il nostro orgoglio. Il momento più spettacolare ed apprezzato
da triestini, sportivi e turisti è stata indubbiamente l’esibizione
delle frecce tricolori; non poteva esserci miglior raffigurazione
dell’abbraccio ideale tra Trieste e la Patria.
Fortunatamente,
non hanno trovato grande visibilità coloro che hanno cercato
squallidamente di sfruttare quest’evento per mettere in piazza le
ormai logore teorie indipendentiste, affermando addirittura che “Il
Giro d’Italia ha sconfinato all’estero”.
Da
sempre il Giro è un evento molto popolare e talvolta ricco di
significati extra sportivi, anche per la nostra città. Vi proponiamo
la cronaca di quello del 1946, tratta dal libro di Roberto Degrassi
"Trieste in maglia rosa".
La
vittoria più bella, quella che vale una vita intera, negli annali
non esiste. Eppure c'è stata. Eccome se c'è stata. Ha fatto la
storia, quella vera. Altro che Giro, altro che sport. Di più, molto
di più. Giordano Cottur ne è andato fiero fino all'ultimo dei suoi
giorni. Testone di un triestino. Non ci fosse stato lui quella tappa
sarebbe finita lì, tra agguati, sassi, pallottole e filo spinato.
Non ci fosse stato lui Trieste non avrebbe vissuto il giorno più
bello del 1946. […] La guerra è finita. L'Italia vuole rinascere,
risollevarsi dalle macerie, riemergere dalla povertà, tornare a
guardare avanti. Trieste invece è una città che non conosce il
proprio futuro, un punto sulla carta geografica conteso tra le
nazioni e ostaggio delle diplomazie. I destini dei popoli si decidono
tracciando una linea sul mappamondo.[...] Gli organizzatori della
Gazzetta dello Sport vogliono rilanciare il Giro d'Italia. Quella del
'46 deve essere l'edizione della rinascita. Un messaggio di speranza,
il segnale che anche lo sport riparte. Il direttore della Gazzetta,
Bruno Roghi, sogna un percorso che tocchi ogni regione, ogni angolo
d'Italia. Sogna anche Trieste, con la consapevolezza che dovrà
superare montagne per riuscire a realizzare il progetto. Trieste è
un territorio a rischio, in molti provano a dissuadere gli
organizzatori. Intanto l'Italia va alle urne per scegliere tra
Monarchia e democrazia. In oltre 12 milioni votano per la Repubblica
il 2 giugno. Il Giro d'Italia è previsto per il 15. Tra le tante,
una tappa è la più suggestiva per il suo significato: la
Rovigo-Trieste.
Le
sorti di Trieste scuotono le coscienze degli Italiani. A Bassano del
Grappa c'è un industriale, si chiama Mario Dal Molin, ha ereditato
dal padre Pietro una fabbrica di biciclette che ha un marchio
inglese, Wilier, acquisito molti anni prima. Ha saputo che a Trieste
c'è chi vorrebbe mettere assieme un gruppo di corridori locali per
partecipare alle gare più importanti della stagione ma manca tutto:
soldi, biciclette, assistenza. Dal Molin ne fa una questione di
orgoglio. Raccoglie alcuni dei migliori ciclisti veneti e ingaggia
Giordano Cottur, un campione triestino in sella a una bicicletta che,
realizzata negli stabilimenti Wilier, viene ribattezzata “La
Triestina”. Quella che prende corpo non è una squadra: è un inno
a Trieste. Maglie rosse e alabarda sul petto, in ogni gara cui
parteciperà quella formazione, diventerà un richiamo all'italianità
della Venezia Giulia. E nessuno si prende la briga di smentire quando
con patriottico entusiasmo qualcuno equivoca il nome della fabbrica:
Wilier diventa così l'acronimo di W Italia Libera E Redenta.
Il
mondo, talvolta, è dei sognatori. E la Wilier Triestina è essa
stessa un sogno. Un manipolo di uomini si coalizza, non c'è bisogno
di molte parole. Giordano Cottur, fermato dalla guerra, vuole
rimettersi in gioco. Ha 32 anni ma ha ancora lo spirito di un
guerriero e l'intraprendenza di un ragazzino alle prime armi. […]
C'è una sola tappa che per lui conta: la Rovigo-Trieste. Ma il
giorno prima del via è come se il mondo gli fosse crollato addosso:
motivi di opportunità consigliano gli organizzatori di rivedere i
piani e sopprimere l'arrivo triestino. La frazione che partirà da
Rovigo si concluderà a Vittorio Veneto. La reazione di Cottur è
rabbiosa: vince di potenza la prima tappa Milano-Torino. Un triestino
in maglia rosa. Mai un ordine di arrivo è stato tanto applaudito. Il
direttore della Gazzetta Roghi sintetizza il pensiero di tutti:
<<Oggi non abbiamo che un nome sulle labbra e nel cuore:
Giordano Cottur che a un “no” per Trieste elaborato ai tavoli
delle caute diplomazie, risponde con un “si” a tutti gli sportivi
italiani>>.
Le
diplomazie, intanto, continuano a lavorare, da Trieste i
rappresentanti del GMA raccontano della speranza tradita di una città
e di una possibile strumentalizzazione. L'Italia che trascura Trieste
potrebbe diventare un facile argomento per la propaganda filo-titina.
Gli organizzatori non aspettavano che questa richiesta. La
Rovigo-Vittorio Veneto sparisce, si torna a Trieste e stavolta non ci
saranno ripensamenti. [...]
Da
Rovigo a Trieste è un rettifilo ininterrotto. Cottur già una volta,
anni prima, si è inventato una vittoria dal niente nella sua città.
Ha una voglia che se lo mangia vivo, qualcosa improvviserà. I
compagni della Wilier Triestina sono lì per aiutarlo. Cervignano,
campi di Granoturco ai lati della strada che passa via veloce. Pochi
chilometri e si entrerà nella zona A, poi la costiera e infine
l'arrivo a Trieste[...] I pensieri accompagnano le pedalate. Il ponte
sull'Isonzo, sullo sfondo le alture del Carso, Cottur allunga.[...]
Un paio di corridori lo raggiungono, si rialza, pronto a riprovarci.
E invece a Begliano si scatena l'inferno. Qualcuno, nascosto tra i
campi, scaglia pietre. I sassi diventano sempre più numerosi e
sempre più grossi. Alcuni corridori tentano di frenare, cadono
travolgendone altri. Sconcertati, i ciclisti risalgono e riprendono
la strada. Pochi metri ancora e davanti ai loro occhi trovano massi
in mezzo all'asfalto e bidoni e pezzi di filo spinato. Dai campi dove
erano rimasti acquattati, emergono alcuni ragazzi. Volano altre
pietre. “Il Giro non deve arrivare a Trieste”. Il servizio
d'ordine non ha bisogno di spiegazioni per capire: dietro l'assalto
ci sono i filo-titini che voglioni impedire l'ingresso della carovana
a Trieste, solo molto più tardi si saprà il nome dell'ideatore
dell'agguato: il leader del Fronte di Liberazione Franc Stoka.
Dopo
i sassi, gli spari, dai campi, dalla strada. Gli uomini dell'assalto
ora ricorrono al fucile. Gli agenti che scortano i corridori
rispondono al fuoco, un poliziotto rimane ferito. I ciclisti cercano
riparo, qualcuno si butta in un covile, Bartali si rifugia sotto una
Millecento, Coppi si mette in salvo. Altri hanno sulla faccia
insanguinata i segni della sassaiola. Le pallottole della polizia
disperdono i delinquenti. Corridori ed organizzatori si guardano l'un
l'altro... che fare? Gli atleti sono sotto choc, alcuni ciclisti
sembrano impietriti, appoggiati alla bicicletta con gli occhi
sbarrati e un filo di respiro. Giordano Cottur marca dappresso gli
organizzatori: “Io a Trieste ci voglio arrivare”. Passano i
minuti, le ore, la tappa ormai è compromessa. Chiuderla lì però
significa darla vinta a chi ha voluto sfregiare il giro. A Trieste è
dal mattino che hanno riempito l'ippodromo per aspettare i corridori.
Si decide di non decidere. Annullato il significato sportivo, ognuno
si regoli in coscienza. Partono i primi mezzi per Udine, partono
anche i grandi, Coppi e Bartali. Giordano Cottur rimane impiantato in
mezzo alla strada e insiste: “Io a Trieste ci voglio arrivare”.
Suggerisce l'idea di mandare un atleta per squadra, un gesto
simbolico per dimostrare l'attaccamento del Giro al pubblico
triestino. Gli organizzatori tergiversano: non si può costringere un
corridore ad affrontare rischi se non se la sente. Ma c'è chi si fa
avanti: l'intera Wilier Triestina. Quello è un traguardo che va
onorato, non arrivarci sarebbe un tradimento. Si aggiunge qualche
altro ciclista. Alla fine si contano: sono in 17 […] Corridori e
biciclette vengono sistemati sulle camionette dei soldati americani.
La tappa è virtualmente annullata. Si corre solo per Trieste. I
ciclisti vengono sbarcati a Grignano per completare il percorso fino
a Montebello. Barcola, viale Miramare, la gente ai bordi della strada
è impazzita. Una sfilata fino all'ippodromo? Forse, o forse no.
Cottur aveva un sogno la sera prima: arrivare primo al traguardo. Il
gruppo capirà. Attacca dove aveva previsto, non è una rasoiata
feroce, gli altri non reagiscono. Qualche decina di metri che gli
basta per arrivare per primo a Montebello. Un trionfo. L'estasi. Non
si poteva rinunciare a una gioia così.
Fiori, baci, occhi lucidi,
applausi. Una città che diventa un infinito abbraccio per un uomo
solo. Potenza dello sport: quell'omino lì in maglia alabardata
sembra un gigante.
Bruno Roghi sulla Gazzetta scriveva: <<I
giardini di Trieste non hanno più fiori. Le campane di Trieste non
hanno più suoni. Le bandiere di Trieste non hanno più palpiti. Le
labbra di Trieste non hanno più baci. I fiori, i palpiti, i suoni, i
baci sono stati tutti donati al Giro d'Italia>>.
Tratto
da R. Degrassi, Trieste in maglia rosa, Luglio editore, 2014