lunedì 16 giugno 2014

Commemorazione delle vittime dei bombardamenti del 1944

Il 10 giugno Trieste Pro Patria ha voluto ricordare un episodio tragico ma poco commemorato della storia cittadina: il bombardamento anglo-americano del 10 giugno 1944, la prima ma anche la più terribile delle incursioni subite da Trieste in quegli anni di guerra. In quel periodo, i triestini si stavano illudendo di poter rimanere indenni dalle disastrose missioni delle “fortezze volanti”, ormai già note in molte parti d'Italia. Invece, in quel solo giorno perirono sotto le macerie ben 463 persone, un migliaio furono i feriti, oltre 4000 i sinistrati, con un centinaio di case distrutte e circa 300 gravemente danneggiate. Altri bombardamenti insistettero su Trieste fino al termine della guerra, essi furono meno pesanti ma si giunse al bilancio di circa 700 vittime totali. Eppure, queste cifre sono di gran lunga inferiori a quelle registrate in altre città italiane duramente colpite, come ad esempio Foggia, per la quale si parla di circa 20.000 vittime, o come Zara, che dopo un incredibile accanimento contò oltre 2.000 vittime, su circa 22.000 abitanti.
Di fronte alla targa che in maniera molto discreta ricorda l’evento, sul fianco della chiesa di San Giacomo, una cinquantina di patrioti ha voluto ricordare quel primo terribile bombardamento degi anglo-americani su Trieste, senza paura di dire apertamente chi fu responsabile di tanti massacri, chi mise in atto bombardamenti a tappeto che oggi si definirebbero “terroristici”, azioni che troppo spesso andarono ben al di là degli obiettivi militari, causando vere e proprie stragi ai danni della popolazione; molto verosimilmente, tali incursioni erano finalizzate a fiaccare la popolazione civile, a diffonderne il malcontento verso il proprio governo. Non per niente, anche a Trieste, uno dei rioni più colpiti fu San Giacomo, tra i più popolari e ad alta densità abitativa.
Nell'onorare tutte le vittime di quella sciagurata strategia bellica, il nostro pensiero è quindi andato alle molte località italiane che subirono danni e lutti ben maggiori.

martedì 3 giugno 2014

Giro d'Italia a Trieste

 Il 1 giugno Trieste ha accolto il Giro d'Italia. Noi c'eravamo, coi nostri tricolori e con tutto il nostro orgoglio, per un evento che ha portato in città tanta gente ed una ventata di vita e di positività, che ha contemporaneamente portato in tutto il mondo le immagini della nostra splendida città, offrendole una grande occasione di visibilità.
La conclusione del Giro d’Italia proprio a Trieste è stata congegnata dichiaratamente per rendere omaggio al 60° anniversario del ritorno di Trieste all’Italia. Anche per questo, pur rifiutando qualsiasi logica di strumentalizzazione di un evento sportivo, abbiamo scelto di essere presenti, col nostro entusiasmo, coi nostri tricolori e con tutto il nostro orgoglio. Il momento più spettacolare ed apprezzato da triestini, sportivi e turisti è stata indubbiamente l’esibizione delle frecce tricolori; non poteva esserci miglior raffigurazione dell’abbraccio ideale tra Trieste e la Patria.
Fortunatamente, non hanno trovato grande visibilità coloro che hanno cercato squallidamente di sfruttare quest’evento per mettere in piazza le ormai logore teorie indipendentiste, affermando addirittura che “Il Giro d’Italia ha sconfinato all’estero”.
Da sempre il Giro è un evento molto popolare e talvolta ricco di significati extra sportivi, anche per la nostra città. Vi proponiamo la cronaca di quello del 1946, tratta dal libro di Roberto Degrassi "Trieste in maglia rosa".
La vittoria più bella, quella che vale una vita intera, negli annali non esiste. Eppure c'è stata. Eccome se c'è stata. Ha fatto la storia, quella vera. Altro che Giro, altro che sport. Di più, molto di più. Giordano Cottur ne è andato fiero fino all'ultimo dei suoi giorni. Testone di un triestino. Non ci fosse stato lui quella tappa sarebbe finita lì, tra agguati, sassi, pallottole e filo spinato. Non ci fosse stato lui Trieste non avrebbe vissuto il giorno più bello del 1946. […] La guerra è finita. L'Italia vuole rinascere, risollevarsi dalle macerie, riemergere dalla povertà, tornare a guardare avanti. Trieste invece è una città che non conosce il proprio futuro, un punto sulla carta geografica conteso tra le nazioni e ostaggio delle diplomazie. I destini dei popoli si decidono tracciando una linea sul mappamondo.[...] Gli organizzatori della Gazzetta dello Sport vogliono rilanciare il Giro d'Italia. Quella del '46 deve essere l'edizione della rinascita. Un messaggio di speranza, il segnale che anche lo sport riparte. Il direttore della Gazzetta, Bruno Roghi, sogna un percorso che tocchi ogni regione, ogni angolo d'Italia. Sogna anche Trieste, con la consapevolezza che dovrà superare montagne per riuscire a realizzare il progetto. Trieste è un territorio a rischio, in molti provano a dissuadere gli organizzatori. Intanto l'Italia va alle urne per scegliere tra Monarchia e democrazia. In oltre 12 milioni votano per la Repubblica il 2 giugno. Il Giro d'Italia è previsto per il 15. Tra le tante, una tappa è la più suggestiva per il suo significato: la Rovigo-Trieste.
Le sorti di Trieste scuotono le coscienze degli Italiani. A Bassano del Grappa c'è un industriale, si chiama Mario Dal Molin, ha ereditato dal padre Pietro una fabbrica di biciclette che ha un marchio inglese, Wilier, acquisito molti anni prima. Ha saputo che a Trieste c'è chi vorrebbe mettere assieme un gruppo di corridori locali per partecipare alle gare più importanti della stagione ma manca tutto: soldi, biciclette, assistenza. Dal Molin ne fa una questione di orgoglio. Raccoglie alcuni dei migliori ciclisti veneti e ingaggia Giordano Cottur, un campione triestino in sella a una bicicletta che, realizzata negli stabilimenti Wilier, viene ribattezzata “La Triestina”. Quella che prende corpo non è una squadra: è un inno a Trieste. Maglie rosse e alabarda sul petto, in ogni gara cui parteciperà quella formazione, diventerà un richiamo all'italianità della Venezia Giulia. E nessuno si prende la briga di smentire quando con patriottico entusiasmo qualcuno equivoca il nome della fabbrica: Wilier diventa così l'acronimo di W Italia Libera E Redenta.
Il mondo, talvolta, è dei sognatori. E la Wilier Triestina è essa stessa un sogno. Un manipolo di uomini si coalizza, non c'è bisogno di molte parole. Giordano Cottur, fermato dalla guerra, vuole rimettersi in gioco. Ha 32 anni ma ha ancora lo spirito di un guerriero e l'intraprendenza di un ragazzino alle prime armi. […] C'è una sola tappa che per lui conta: la Rovigo-Trieste. Ma il giorno prima del via è come se il mondo gli fosse crollato addosso: motivi di opportunità consigliano gli organizzatori di rivedere i piani e sopprimere l'arrivo triestino. La frazione che partirà da Rovigo si concluderà a Vittorio Veneto. La reazione di Cottur è rabbiosa: vince di potenza la prima tappa Milano-Torino. Un triestino in maglia rosa. Mai un ordine di arrivo è stato tanto applaudito. Il direttore della Gazzetta Roghi sintetizza il pensiero di tutti: <<Oggi non abbiamo che un nome sulle labbra e nel cuore: Giordano Cottur che a un “no” per Trieste elaborato ai tavoli delle caute diplomazie, risponde con un “si” a tutti gli sportivi italiani>>.
Le diplomazie, intanto, continuano a lavorare, da Trieste i rappresentanti del GMA raccontano della speranza tradita di una città e di una possibile strumentalizzazione. L'Italia che trascura Trieste potrebbe diventare un facile argomento per la propaganda filo-titina. Gli organizzatori non aspettavano che questa richiesta. La Rovigo-Vittorio Veneto sparisce, si torna a Trieste e stavolta non ci saranno ripensamenti. [...]
Da Rovigo a Trieste è un rettifilo ininterrotto. Cottur già una volta, anni prima, si è inventato una vittoria dal niente nella sua città. Ha una voglia che se lo mangia vivo, qualcosa improvviserà. I compagni della Wilier Triestina sono lì per aiutarlo. Cervignano, campi di Granoturco ai lati della strada che passa via veloce. Pochi chilometri e si entrerà nella zona A, poi la costiera e infine l'arrivo a Trieste[...] I pensieri accompagnano le pedalate. Il ponte sull'Isonzo, sullo sfondo le alture del Carso, Cottur allunga.[...] Un paio di corridori lo raggiungono, si rialza, pronto a riprovarci. E invece a Begliano si scatena l'inferno. Qualcuno, nascosto tra i campi, scaglia pietre. I sassi diventano sempre più numerosi e sempre più grossi. Alcuni corridori tentano di frenare, cadono travolgendone altri. Sconcertati, i ciclisti risalgono e riprendono la strada. Pochi metri ancora e davanti ai loro occhi trovano massi in mezzo all'asfalto e bidoni e pezzi di filo spinato. Dai campi dove erano rimasti acquattati, emergono alcuni ragazzi. Volano altre pietre. “Il Giro non deve arrivare a Trieste”. Il servizio d'ordine non ha bisogno di spiegazioni per capire: dietro l'assalto ci sono i filo-titini che voglioni impedire l'ingresso della carovana a Trieste, solo molto più tardi si saprà il nome dell'ideatore dell'agguato: il leader del Fronte di Liberazione Franc Stoka.
Dopo i sassi, gli spari, dai campi, dalla strada. Gli uomini dell'assalto ora ricorrono al fucile. Gli agenti che scortano i corridori rispondono al fuoco, un poliziotto rimane ferito. I ciclisti cercano riparo, qualcuno si butta in un covile, Bartali si rifugia sotto una Millecento, Coppi si mette in salvo. Altri hanno sulla faccia insanguinata i segni della sassaiola. Le pallottole della polizia disperdono i delinquenti. Corridori ed organizzatori si guardano l'un l'altro... che fare? Gli atleti sono sotto choc, alcuni ciclisti sembrano impietriti, appoggiati alla bicicletta con gli occhi sbarrati e un filo di respiro. Giordano Cottur marca dappresso gli organizzatori: “Io a Trieste ci voglio arrivare”. Passano i minuti, le ore, la tappa ormai è compromessa. Chiuderla lì però significa darla vinta a chi ha voluto sfregiare il giro. A Trieste è dal mattino che hanno riempito l'ippodromo per aspettare i corridori. Si decide di non decidere. Annullato il significato sportivo, ognuno si regoli in coscienza. Partono i primi mezzi per Udine, partono anche i grandi, Coppi e Bartali. Giordano Cottur rimane impiantato in mezzo alla strada e insiste: “Io a Trieste ci voglio arrivare”. Suggerisce l'idea di mandare un atleta per squadra, un gesto simbolico per dimostrare l'attaccamento del Giro al pubblico triestino. Gli organizzatori tergiversano: non si può costringere un corridore ad affrontare rischi se non se la sente. Ma c'è chi si fa avanti: l'intera Wilier Triestina. Quello è un traguardo che va onorato, non arrivarci sarebbe un tradimento. Si aggiunge qualche altro ciclista. Alla fine si contano: sono in 17 […] Corridori e biciclette vengono sistemati sulle camionette dei soldati americani. La tappa è virtualmente annullata. Si corre solo per Trieste. I ciclisti vengono sbarcati a Grignano per completare il percorso fino a Montebello. Barcola, viale Miramare, la gente ai bordi della strada è impazzita. Una sfilata fino all'ippodromo? Forse, o forse no. Cottur aveva un sogno la sera prima: arrivare primo al traguardo. Il gruppo capirà. Attacca dove aveva previsto, non è una rasoiata feroce, gli altri non reagiscono. Qualche decina di metri che gli basta per arrivare per primo a Montebello. Un trionfo. L'estasi. Non si poteva rinunciare a una gioia così.
Fiori, baci, occhi lucidi, applausi. Una città che diventa un infinito abbraccio per un uomo solo. Potenza dello sport: quell'omino lì in maglia alabardata sembra un gigante.
Bruno Roghi sulla Gazzetta scriveva: <<I giardini di Trieste non hanno più fiori. Le campane di Trieste non hanno più suoni. Le bandiere di Trieste non hanno più palpiti. Le labbra di Trieste non hanno più baci. I fiori, i palpiti, i suoni, i baci sono stati tutti donati al Giro d'Italia>>.
Tratto da R. Degrassi, Trieste in maglia rosa, Luglio editore, 2014