mercoledì 30 ottobre 2013

26 ottobre 2013: 59° anniversario del ritorno di Trieste all'Italia


Il 26 ottobre 2013 ricorreva il 59° anniversario del ritorno di Trieste all’Italia e naturalmente non potevamo mancare all’appello, in occasione dell’alzabandiera solenne tenuto in piazza dell’Unità d’Italia. Nonostante la giornata uggiosa, erano comunque presenti alcune centinaia di persone ed anche noi abbiamo dato il nostro contributo, con una buona partecipazione, come sempre colorata, fiera e compatta dietro al nostro striscione. Dopo l’alzabandiera e l’inno d’Italia cantato da tutti, dopo l’uscita di scena del plotone di Lanceri, abbiamo spontaneamente attraversato la piazza in corteo fino al municipio, raccogliendo con soddisfazione gli applausi di molta gente.
Subito dopo, una nostra delegazione ha seguito la solenne commemorazione dei 6 caduti nei fatti del novembre 1953, svoltasi nella sala del consiglio comunale alla presenza del sindaco e delle autorità, organizzata dalla Lega Nazionale.
E’ per noi molto importante sostenere le manifestazioni commemorative e patriottiche che, dopo tanti anni e nell’attuale contesto di crisi dei valori tradizionali, si stavano un po’ affievolendo. Non si tratta certo di vivere guardando solo al passato, ma di costruire un degno futuro partendo dalle solide basi delle nostre radici e della nostra storia.
Persiste ancora oggi in certi "ambienti" triestini la leggenda metropolitana secondo cui l'entusiasmo e la partecipazione per il ritorno di Trieste all'Italia dopo la parafatura del Memorandum di Londra nel 1954 furono di pochi e che la maggioranza dei triestini era contraria se non indifferente alla così detta "Seconda Redenzione"; pertanto, la stragrande maggioranza delle persone che accolsero esultanti le truppe italiane, i bersaglieri, non erano triestini ma gente venuta da fuori città, anzi mandata dal Governo italiano a manifestare per l'occasione. Anche la sollevazione popolare del 1953 contro il Governo Militare Alleato, dai seguiti luttuosi, viene dagli stessi "ambienti" sminuita nei fatti e ridotta a gazzarra creata da pochi, scalmanati e prezzolati elementi, in massima parte provenienti dalle regioni italiane limitrofe. Insomma il tripudio e l'entusiasmo che si sono visti da parte della popolazione per l'arrivo delle truppe italiane a Trieste in quegli indimenticabili giorni sono candidamente negati contro ogni evidenza storica della realtà dei fatti, documentati da copioso materiale fotografico, da filmati e servizi giornalistici diffusi in tutti il mondo, oltre che da una sterminata documentazione storica e memorialistica.
Molto interessante, in tal senso, il sobrio racconto di Gabrio de Szombathely nel suo libro “A Trieste sotto 7 bandiere”: “Verso le 11.45 ci fu offerto in cambio lo spettacolo dell’arrivo del cacciatorpediniere Grecale, bello, lungo, grigio, che attraccò alla banchina proprio davanti alla piazza ed altrettanto fece un secondo cacciatorpediniere italiano alla banchina di sottovento del molo Audace, zeppo fino all’orlo di persone ed ombrelli e non so come in quella calca le due navi riuscirono a distinguere sul molo le bitte cui assicurare i loro cavi d’ormeggio. 
Ma lo spettacolo più bello fu il bandierone italiano sventolante sul Grecale: e per me fu quella la settima bandiera; non era la bandiera del 1918 con lo stemma sabaudo e lo stemma reale, ma quella della Repubblica italiana, con l’emblema della Marina Militare e gli stemmi delle quattro Repubbliche Marinare […] Sulla balconata della Prefettura il generale De Renzi pronunciò un messaggio di saluto alla città, avendo accanto a se il buon Gianni Bartoli, che finalmente portava la fascia tricolore di sindaco italiano. Anche la parata militare andò a monte; nel pomeriggio, il bravo sindaco Bartoli tenne sulla stessa piazza un commosso discorso, commemorante le trascorse sciagure, la decisione di resistere a ogni costo, il ritorno dell’Italia, il rinnovo della Redenzione; ed aggiunse il proposito di arrivare in futuro ad un’Europa unita e ad un Adriatico riappacificato; e di poter anche arrivare ad un non lontano avvenire di libertà per tutti i giuliani, profughi e non. Nei giorni seguenti il generale De Renzi trasmise i poter civili al Commissario Generale del Governo per Trieste, il Prefetto Giovanni Palamara, il quale provvide ad inserire nell’ordinamento burocratico italiano i vari uffici del cessato GMA.
Questo rimaneggiamento persuase i triestini di essere ridiventati sudditi italiani anche se di confine e ne ebbero la più autorevole e gradita conferma già la settimana dopo, quando la città ebbe l’onore di essere visitata, il 4 novembre del ’54, addirittura dal Presidente della Repubblica Luigi Einaudi […] La sua venuta a Trieste in forma ufficiale per il 4 novembre, festa nazionale, attirò in piazza e sulle rive quello che fu certamente il massimo concentramento di folla della sua storia e per quel giorno il signore Iddio riservò alla città un tempo splendente […] Una folla impenetrabile sostava davanti alla tribuna presidenziale e lungo tutta la riva dal molo Bersaglieri al molo Audace e dietro riempiva tutta la piazza. Fu uno spettacolo indimenticabile, incorniciato dall’azzurro del cielo e del mare. Il Presidente della Repubblica […] decorò di persona il gonfalone del Comune di Trieste con la medaglia d’oro al valor militare, in ricordo anche dei suoi ultimi figli caduti in quella stessa piazza. Seguì un perfetto sfilamento in parata di soldati, finalmente italiani, tra incessanti applausi. Dopo la sfilata dal balcone del municipio parlarono il Presidente del Consiglio Scelba ed il sindaco Bartoli ed ancora, nell’antica Cattedrale di San Giusto, Mons. Antonio Santin, vero Defensor Civitatis in tempi burrascosi, come i Vescovi del Medio Evo […] chiuse il suo discorso con queste parole: “Giorno verrà che quando il volto offuscato della giustizia brillerà nel consesso dei popoli nuovamente liberi e pacificati, quel giorno, non solo le campane di San Giusto ma anche quelle di tutte le città fiorite sulle nostre marine suoneranno a festa”.

Negli anni sono state raccolte e pubblicate numerose testimonianze di triestini che in quella piovosa giornata di ottobre del 1954 hanno festeggiato per le vie e le rive della città. Abbiamo scelto di proporvi alcuni ricordi che abbiamo raccolto personalmente, riportati da chi in quei giorni era appena un ragazzino, ma dopo tanti anni ha ancora impressi nella mente emozioni, fatti, sensazioni. 
Adriana: “C'ero anch'io con tutta la mia classe il 26 ottobre 1954, in quella piazza Unità stracarica di triestini, sotto una pioggia torrenziale con gli ombrelli rotti dai refoli di bora. Il 4 novembre successivo, il tempo si fece bello ed eravamo di nuovo tutti là in piazza e sulle rive ad attendere l'arrivo dei primi militari italiani, che erano attesi già a Duino da molti triestini muniti dei mezzi necessari a recarsi al posto di blocco. Non c'era finestra che non avesse il tricolore ed i tessuti bianchi, rossi e verdi erano esauriti in tutti i negozi cittadini. Lo stesso per i nastri tricolori.
Piero: Io c'ero, ero un ragazzino di nove anni, in una foto di quei giorni sono in posa davanti al "Grecale" che fu il primo ad attraccare a Trieste; il ricordo di quei momenti è, nonostante gli anni passati, sempre vivo, presente, indimenticabile! Direi che la documentazione fotografica più o meno nota e i documenti filmati di repertorio che spesso si vedono parlino da se; non vorrei fare della retorica ricordando che c'era una marea di gente in Piazza e lungo le Rive, mai vista così tanta in centro città, tanto che non si riusciva a muoversi, nonostante il tempo non fosse sempre clemente ed anzi pioggia e bora la fecero da padrone in certi momenti; c'era chi piangeva e chi rideva per la gioia, gente che letteralmente assaliva i bersaglieri appiedati o sui camion, chiedendo o strappando loro dal copricapo una piuma o una stelletta; gente che si abbracciava, gente che gridava, gesticolava sventolando il tricolore; gente che faceva la fila accalcandosi per visitare le navi, soprattutto la splendida Amerigo Vespucci pavesata a festa per l’occasione. Insomma, fu un vero e proprio delirio di un’intera città imbandierata come mai, che durò dei giorni; la sera si ritornava a casa stanchi, intontiti e felici”.
Ileana: Il broncio, senza lacrime, senza bizze, solo il silenzio, offeso e risentito, di una bimba di quattro anni e mezzo, lo ricordano, ancora, mia madre ed i miei due zii materni, gli unici adulti di famiglia ancora viventi che vissero quella memorabile giornata. La bimba offesa ero io, il broncio ed il risentimento erano miei... Quale era il torto che avevo subìto? A me, in piazza, non mi avevano portata. In città, in Piazza Unità, ci erano andati tutti, ma proprio tutti, tranne la nonna che aveva accudito me. C’erano andati i miei genitori, i nonni, gli zii materni e paterni, le prozie con i consorti, i cugini e le cugine di mamma e papà con mogli e mariti, persino una bisnonna, per non parlare degli amici di famiglia! Io, invece, a casa. Vedevo le case imbandierate: tricolore, tricolore ovunque, pendeva dalle finestre, dai balconi, era in ogni dove. L’euforia dei “grandi” e la loro emozione era evidente ed incontenibile: il caseggiato dove abitavamo, di solito vivace, era più silenzioso del solito, perché molti erano andati in piazza. “Troppo piccola da portare in tanta folla”, tentarono di spiegarmi. Io pensavo solo che mi avevano lasciata a casa, mentre fuori qualcosa di grande, di bellissimo, stava accadendo. Era il 26 ottobre, QUEL 26 ottobre. Era…l’Italia!Finalmente! Era il 26 ottobre 1954. Ad un certo punto, nonna vide passare un primo mezzo militare. Portò una sedia davanti alla finestra e mi mise in piedi su di essa, mentre lei mi teneva in un abbraccio che mi sembra ancora di sentire. Guardammo fuori. Vidi passare una camionetta militare, e poi un camion. Stretta nell’abbraccio di nonna, i cui occhi non erano più asciutti, guardai con meraviglia ciò che stavo vedendo. Non che non avessi mai visto mezzi militari e divise, li vedevo dalla nascita. Ma questi erano diversi. Questi erano come noi: italiani! E questo, io, non l’avevo mai visto.
Ricordo quando rientrarono mamma e papà. Ricordo quant’era bella mia madre, nello splendore della sua gioventù, ricordo quant’era raggiante, euforica, la rivedo distintamente in quel momento, sorridente e felice che veniva verso di me: mi consegnò delle stellette dalle divise di qualche militare e una piuma dal copricapo di un bersagliere. Seppur con il broncio e non ammansita, presi tutto. Guardai la piuma: al primo momento sembrava scura, ma muovendola nelle mani mi accorsi che aveva dei riflessi di colore cangiante.
I miei raccontavano a mia nonna della folla, immensa, in delirio: “Iera tutta Trieste!” ripetevano. Raccontavano degli abbracci dati ai nostri soldati, dei triestini che si arrampicavano sui mezzi militari, di Trieste che gridava “Italia! Italia! Italia!”. Poi cominciarono a rientrare anche gli altri, e ci fu un andirivieni di parenti e amici, vicini, festosi ed euforici. Tutti a ripetere quella frase che faceva crescere e rinsaldare il mio disappunto per l’esclusione subìta, “Iera tutta Trieste!” ripetevano. Nei giorni che seguirono mi ricordo che c’erano feste e balli. Conservo ancora una foto di mia zia ad una di queste feste mentre balla con un nostro soldato.
Così fu, in quella giornata, a Trieste. Fu commozione, felicità, euforia. Nella pioggia battente i triestini celebravano ciò che con il cuore avevano atteso e ciò per cui con determinazione avevano lottato per lunghi anni: riabbracciare l’Italia e sventolare, liberi, il tricolore. E il confine? Quel iniquo confine a Duino? Era diventato un niente, come una bestia dalla bocca sdentata che non può mordere più. Mentre Trieste era, finalmente, a casa".

Alvino: "Peggior aiuto di così il tempo non poteva dare ai soldati italiani. Pioggia e bora, bora e pioggia tutto insieme, forse nell'intento di trattenere i Triestini nelle loro case. Quasi temevo che ci fosse poca gente in città, ma ben presto fui tranquillizzato: le case si svuotavano, le automobili sfrecciavano verso il centro e famiglie intere, uomini, donne, ragazzi, bimbi e vecchi scendevano la collina (il Colle di San Vito) riparandosi alla meglio con i più svariati mezzi di fortuna nelle zone battute, ed aprendo ogni tanto qualche ombrello nei punti di bonaccia.
La marina era nera di gente, potemmo avvicinarci a Piazza Unità d'Italia alla distanza di 300 metri al massimo. Più in là era impossibile penetrare, tanto la calca era fitta. Finimmo col separarci; mia moglie Alda con i ragazzi, girando per vie interne riuscì a raggiungere il Palazzo dei Lloyd Triestino e ad entrarvi. lo, avvolto nel mio impermeabile da caccia, mi arrampicai sulle sartie di un peschereccio di altomare per vedere almeno da lontano l'arrivo delle navi. Sui tetti delle case vicine, alle finestre, agli abbaini ed in qualunque luogo si potesse scorgere il mare c'era gente che guardava ed agitava bandiere, nastri, drappi e fazzoletti bianchi rossi e verdi. Una folla immensa sotto la bora e la pioggia violenta.
Quanti ombrelli sfilavano davanti a me portati in mare da qualche refolo capriccioso che sconvolgeva le zone di calma.
Era un urlo continuo: "Giungono! Arrivano! Ecco le navi! Ecco i Bersaglieri!" E via, un correre da una parte all'altra per vedere i nuovi arrivati .... che spesso non erano affatto arrivati! Finalmente apparvero davvero le navi. Fra gli spruzzi delle onde apparve un caccia, poi l'incrociatore e poi ancora gli altri due caccia. La gente sembrava impazzita; era tutto un gridare, un agitarsi forsennato. Undici anni di attesa, undici anni di ansia sfociavano in un immenso grido, in uno slancio incredibile ed inimmaginabile per chi non lo abbia vissuto, verso le navi della Patria che giungevano in porto.
Intanto da terra giungevano i Bersaglieri. Oltre un'ora avevano impiegato con gli autocarri per fare sì e no un chilometro o poco più. Non c'erano più cordoni, non c'era più limite a trattenere l'entusiasmo. Gli autocarri erano zeppi di Triestini. Erano entrati dappertutto; ed i poveri soldati pigiati dentro, mezzo soffocati dal grande abbraccio di tutto un popolo! Come riuscissero a guidare gli autisti è una cosa che non potrò mai spiegare. Sul cofano, sui parafanghi, sull'imperiale, ovunque ci fosse il più piccolo appiglio c'era arrampicato un giovane o una ragazza.
Ogni tanto appariva qualche cappello da Bersagliere ed una mano toglieva le penne per donarle ai molti, ai troppi richiedenti. Quanti Bersaglieri ho visto senza la minima traccia di penne sul cappello. Qualcuno ci rimise il cappello, altri la giubba. Di bottoni sulle giubbe ne rimasero pochini perché ogni cittadino pretendeva un ricordo dal primo soldato che riusciva ad avvicinare.
E gli autisti continuavano a guidare, un metro alla volta. Insomma, malgrado le difficoltà di guida, non avvenne nessun incidente e tutto filò liscio liscio, così come lo poteva permettere l'entusiasmo dei cittadini che sovverti l'ordine di ogni ben studiata cerimonia.
Anche l'assalto alle navi ebbe luogo a tempo debito, non appena accostarono, ed i marinai non poterono far altro che aiutare i molti giovani d'ambo i sessi che s'erano lanciati all'arrembaggio. In pochi momenti a bordo si vedevano più borghesi che marinai e nulla riusciva a trattenere gli assaltatori, neppure le onde, il vento e la pioggia che sulla riva facevano il diavolo a quattro".
Questo fu lo stato d'animo di gran parte dei triestini ed è questa l'eredità che noi vogliamo raccogliere, il passato che vogliamo tramandare, sono questi i valori che ci danno forza per affrontare il futuro.