giovedì 16 gennaio 2014

Intervista a Mercy, cantante del gruppo IANVA

In vista del concerto dell'8 febbraio, abbiamo intervistato il cantante degli IANVA, scoprendo idee chiare e ben salde, una mentalità fiera e decisa... in linea con il modo di essere di Trieste Pro Patria. Buona lettura!



Presentiamo gli IANVA ai triestini: un gruppo che con la sua musica si propone di....
Assecondare le proprie attitudini. Essere interpreti credibili di sentimenti che un certo tipo di pensiero egemone obbliga a mantenere in sordina. Ma soprattutto di dar vita a della musica e a una narrazione intense e passionali. Senza lasciarsi influenzare più di tanto dalle voghe estetiche e stilistiche di quest'epoca.

Se proprio dovessimo dare una definizione del vostro gruppo, quale sarebbe l'appellativo più corretto? Gruppo underground? Gruppo alternativo? O altro?
Siamo un gruppo indipendente nel senso più stretto e, direi, appropriato del termine. Ci tengo a rimarcarlo perché il senso corrente della definizione è da diversi anni oggetto di una sostanziale trasposizione di senso. In altre parole il termine “indipendente” ha finito per designare più un insieme di stilemi che non una condizione oggettiva. Oggi, molti gruppi che suonano musica “indipendente” non sono indipendenti affatto. Noi lo siamo autenticamente in quanto gestiamo direttamente tutte le fasi del processo produttivo e ciò ci ha resi liberi da ogni sorta di condizionamento. Solo che a molti non lo sembriamo, perché la musica che produciamo suona molto “vecchia Italia”. Troppo per gli “indipendenti” di casa nostra. Sarà dura, ma ce ne faremo una ragione.

Vuoi farmi una piccola presentazione dei componenti del gruppo ed un breve racconto di come la vostra formazione è nata e cresciuta nel tempo?
Siamo un ensemble numeroso e ognuno dei suoi componenti ha un passato denso di esperienze. Alcuni, poi, sono anche attualmente attivi in differenti ambiti. E poiché esistiamo ormai da quasi dieci anni, con membri nel frattempo usciti dal progetto, diventa oggettivamente difficile coniugare racconto e brevità. In linea generale definirei IANVA come una sorta di collettivo artistico, moderatamente aperto e soggetto a una cauta, ma costante evoluzione.

Dai vostri testi, che trattano diversi periodi e fatti controversi della storia d'Italia, pare trasparire una volontà di riappropriarsi di un orgoglio nazionale che oggi pare poco di moda. In un momento così critico per la nostra nazione (alludo all'evidente crisi etica e morale, non solo a quella economica) cosa significa per voi essere italiani?
Credo che tutto ciò ricada ormai sotto la categoria dei sentimenti e, dunque, ognuno avrà una propria percezione soggettiva. Ma in linea di principio essere italiani oggi significa in primo luogo non sconfessare l'eredità dei padri. Non mandare al macero il sacrificio, il lavoro, la fede di generazioni. Rifiutarsi di perpetrare lo scempio di questa terra da parte di chi, evidentemente, non soffre di alcuna complicazione sentimentale. Noi riteniamo che la nostra classe dirigente, prima ancora che delinquenziale, inetta e servile verso gli oligopoli, sia stolida, arida e cinica. Clinicamente incapace di trasposto, commozione, empatia. Ma la colpa è anche nostra che abbiamo tollerato in questi ultimi decenni di essere vessati da simili subnormali.

Visti i temi che affrontate, è inevitabile che vi si chieda: il vostro gruppo ha una collocazione politica o ideologica definita?
No. Non la ha affatto. Ci sono singoli membri che hanno qualche convinzione più marcata, ma il gruppo, in quanto tale, è ideologicamente piuttosto variegato. Tutto ciò, comunque, non sposterà di una virgola l'impressione che i “duri e puri” di ogni fazione si sono fatti di noi, ossia che siamo “intollerabilmente ambigui”. Come se la realtà in cui loro si muovono quotidianamente fosse invariabilmente limpida e tetragona. Comunque a questa gente io dico: siccome sono sempre io a parlare, prendetevela con me e lasciate stare questo povero gruppo. Sono io il “carognone” che “alimenta l'ambiguità”. Perché credo che alla fine sia infinitamente più stimolante. A volte una domanda imprevista e posta al momento giusto vale più di cento risposte abusate.

I vostri testi toccano eventi storici ancora oggi oggetto di dibattito se non addirittura di scontro. Secondo voi, si arriverà mai alla tanto acclamata “memoria condivisa”, in Italia?
No. Mai. Per la semplice ragione che le fondamenta stesse su cui si è edificata l'Italia repubblicana affondano in un pronunciamento profondamente manicheo. Peraltro rimarcato nella stessa costituzione. L'architravatura mentale, prima ancora che politica, che ha concorso alla definizione delle istituzioni repubblicane postula l'esistenza di un “male assoluto” e, in contrapposizione, di forze positive, seppure differenti, istituite della suprema missione di neutralizzarlo. Dati tali presupposti, sconfinanti addirittura nella metafisica, risulterebbe impossibile ridefinire la narrazione corrente senza smontare la stessa ragione d'essere di questa “memoria istituzionale”. Inoltre, dalla fine della prima repubblica in avanti, massicce dosi di politically correct di stampo anglosassone sono state innestate sul fusto originario con esiti a dir poco tragicomici.
Per avere finalmente una memoria condivisa, in Italia, servirà una nuova e più radicale catastrofe.
Mi sento moderatamente ottimista. Nel senso che non credo che ce la faremo mancare.

Avete dedicato diverse canzoni alle nostre terre ed alle controverse vicende del confine orientale d'Italia, dalle battaglie della Grande Guerra, all'impresa di D'Annunzio a Fiume, al dramma delle foibe e dell'esodo; cosa vi ha spinto verso questi temi piuttosto trascurati dalla “cultura ufficiale”?
Intanto, molto banalmente, perché qualcuno doveva ben iniziare a farlo. Al di fuori, s'intende, dei soliti ambienti “militanti” i quali, per le ragioni sopracitate, non erano abilitati a sollevare la questione presso platee estranee al loro perimetro. Poi, almeno per quanto mi riguarda, per ragioni, per così dire, famigliari. Ma, su tutto, c'è una ben precisa ragione: le tematiche peculiari della cosiddetta cultura “alternativa” mi avevano tediato. Solo piagnistei e perplessità assortite. Vittimismo da donnette. Oppure cinismo e disincanto da prontuario hipster o ancora, in alternativa, perversioni da segaioli e gusto per l'efferatezza. Questa gente è noiosa. Monotona: va avanti così da trent'anni. Inoltre, perché dovrebbero essere interessanti i moti di anime tanto dozzinali? Chi se ne frega dei rovelli di questi pallemosce? Tanto vale risalire il tempo alla ricerca del fuoco sprigionato da cuori titanici. Perlomeno promette di essere più divertente.
Oltre a ciò avevamo un'impressione piuttosto complessa da rendere a parole. Cioè che ci fosse qualcosa di profondamente immorale e letale in questa ostinazione tutta italiana e contemporanea a non voler soffrire per la perdita della bellezza. A non curarsi del fatto che la fierezza, la dignità, l'ispirare rispetto fossero momenti della condizione umana ormai fuori portata. Con l'italiano medio che, da perfetto cafone, ci rideva su. E con il preteso intellettuale che si faceva un dovere di schernire, demistificare a detta sua, certi aneliti. E' un fenomeno, questo, che credo non abbia equivalenti nel mondo.

Trieste Pro Patria vi ha invitato in occasione del Giorno del Ricordo, istituito “al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”. Qual'è, a vostro avviso, il miglior modo per coltivare la memoria?
Mi rituffo, con vero piacere, nella banalità: studiando. Non cessando mai di documentarsi e informarsi, magari presso fonti alternative a quelle consuete. Appassionarsi alla materia storica e comprendere, una buona volta, che non è vero che la Storia esula dal nostro quotidiano. Nulla passa mai davvero ed eventi apparentemente lontani e avulsi dalla nostra realtà continuano ad esercitare i loro effetti sul nostro tempo. Specie se si considera che il mondo in cui viviamo oggi è ancora quello emerso dalla seconda guerra mondiale prima e poi dalla guerra fredda.
Consiglierei tuttavia, e per quanto possibile, di non incorrere nell'errore di pensarsi sempre integralmente nel giusto. Anche nel caso si siano dovuti subire crimini e abusi che non possono e non debbono essere dimenticati. Ogni forza in campo ha avuto delle sue ragioni fattuali e, quindi, tecnicamente legittime. Solo che le ragioni degli sconfitti sono, quasi sempre, più fascinose e avvincenti. E ciò, sulla lunghissima distanza, contribuisce a ridisegnare i contorni del mondo, piaccia o meno ai custodi dello status quo.

Grazie e arrivederci all'8 febbraio... tutto fa pensare a una serata interessante.