Venerdì 14 novembre l'amico Luigi Fattorini,
studioso di storia contemporanea, ha accolto il nostro invito a trattare un
tema storico ultimamente assai dibattuto: le condizioni della nostra regione
durante gli ultimi decenni di dominazione austro-ungarica. Un argomento che,
anche alla luce della recente crescita di movimenti “anti-nazionali” spinti
dalla crisi economica e sociale in atto, viene spesso trattato in maniera
pressapochista, in base a luoghi comuni e stereotipi, spesso utilizzati da chi
vuole solo denigrare l'italianità e riscrivere la nostra storia a suo
piacimento.
Chi, come Luigi, ha approfondito questa importante
pagina di storia, analizzando studi seri e documentati, sa bene che l'Impero
Austro-Ungarico non era affatto quel “giardino dell'Eden” che qualcuno oggi
vorrebbe far credere, in quanto era scosso da nazionalismi, pulsioni
centrifughe e tensioni sociali che lo portarono al collasso. Va anzi ricordato
che le forti tensioni tra Italiani da un
lato, Sloveni e Croati dall'altro, sono sorte ed hanno iniziato a manifestarsi
con violenza proprio durante la dominazione asburgica. Introdotto da Gabriele Bosazzi, Luigi ha tracciato
una carrellata di situazioni ed eventi molto interessante, con l'ausilio di cartine ed immagini d'epoca.
Si è partiti dal periodo risorgimentale ed in particolare dai moti del 1848,
che nella nostra regione dischiusero le porte alla diffusione dei sentimenti
nazionali.
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Immagine celebrativa della "Dieta del nessuno" |
I primi segnali di un patriottismo italiano si manifestarono
soprattutto in Istria, con alcune manifestazioni di piazza e con la fuga di
qualche centinaio di giovani verso Venezia, a sostenere la rivolta capeggiata
da Daniele Manin e Nicolò Tommaseo. Più tardi, i rappresentanti italiani
dell'Istria si segnalarono con la cosiddetta “Dieta del Nessuno”, la prima
assemblea provinciale istriana tenutasi nel 1861, durante la quale 21 deputati,
chiamati ad eleggere due rappresentanti da inviare al parlamento di Vienna,
scrissero sulla scheda la parola “nessuno”, quale clamorosa manifestazione di
protesta verso il governo. Sei giorni dopo, la votazione fu ripetuta con il
medesimo risultato ed inoltre, anziché inviare all’imperatore il rituale
indirizzo di omaggio che esprimeva “a
nome delle popolazioni i sentimenti di gratitudine, riconoscenza, obbedienza e
fedele sudditanza”,
si inviò una richiesta “di prendere in benigno
riguardo le sventure, i bisogni ed i voti di questa infelice provincia”. In questa prima fase, Trieste non si manifestava
ancora con accenti marcatamente patriottici, pur essendo popolata in gran
maggioranza da italiani; non mancavano i patrioti a Trieste, ha sottolineato
Fattorini, ma buona parte di essi teneva ancora un atteggiamento lealista, pur
rivendicando la difesa della cultura italiana e dei diritti della propria
nazionalità. C'era però anche chi sosteneva posizioni più radicali, come ad
esempio Giovanni Orlandini, che durante i fermenti del 1848 cercò, con scarso
seguito, di incitare i triestini alla rivolta sull’esempio veneziano.
E' stata quindi spiegata la nascita
dell'irredentismo, che si colloca negli anni settanta dell'Ottocento,
caratterizzata da un rapido sviluppo in Italia, in buona parte quale movimento
antagonista ed antigovernativo, animato da elementi repubblicani, di ispirazione
mazziniana e garibaldina, avversi alla classe dirigente liberale ed alla
monarchia sabauda. Un ruolo fondamentale nel movimento irredentista nel Regno
d’Italia fu svolto dai fuoriusciti che avevano dato vita al fenomeno
dell'emigrazione politica; essi erano triestini, goriziani, istriani, fiumani,
dalmati e trentini che si erano trasferiti in Italia in quanto perseguiti dalle
autorità austriache per le loro idee o, in altri casi, per contribuire a
sensibilizzare l'opinione pubblica ed il governo italiani. Tra i più noti ed
attivi si segnalarono Tomaso Luciani di Albona, Carlo Combi di Capodistria, i
triestini Raimondo Battera (promotore del “Circolo Garibaldi di Trieste” con
sede a Milano) e Salvatore Barzilai, politicamente attivo a Roma. Va ricordata
anche l'Associazione Pro Italia Irredenta del napoletano Matteo Renato
Imbriani, coniatore del termine “terre irredente”, da cui scaturì la parola
“irredentismo”. Oltre a queste associazioni repubblicane, invise al governo
italiano, operava anche la più moderata Dante Alighieri, che si occupava del
mantenimento della lingua italiana all'estero. In Istria, l'azione era
ovviamente molto più legalitaria, non esplicitamente separatista, ma non meno
intensa; sorse una vera e propria battaglia per la difesa dei “diritti
nazionali”, combattuta a tutto campo, sul piano politico, culturale, scolastico
e persino in ambito sportivo e ricreativo. In tale contesto fu fondata a Trento
la Società Pro
Patria, ben presto sciolta dalle autorità per un semplice telegramma di auguri
alla Dante Alighieri; dalle ceneri di questa associazione, nacque nel 1891 la Lega Nazionale, che
si occupò di istituire e mantenere una vasta rete di scuole italiane,
sopperendo alle carenze della scuola pubblica, in particolare nelle zone a
popolazione mista, dove era più in pericolo la sopravvivenza della cultura
italiana.
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La carta del Kobler - 1848 |
Nel frattempo, però, erano sorti anche il movimento
nazionale croato e quello sloveno. Già nel 1848 il cartografo sloveno Kozler
realizzò una mappa che attestava le prime rivendicazioni, includendo in una
ipotetica compagine slovena anche Trieste e Gorizia. Portavoce delle idee
nazionali fu soprattutto il clero e i Vescovi del Litorale (titolari delle
cattedre di Trieste-Capodistria, Parenzo-Pola e Veglia) sulla cui nomina
incideva molto la volontà dell’Imperatore e che non a caso erano quasi sempre
slavi. In seguito però emerse anche un nazionalismo sloveno e croato di
estrazione borghese, specie quando si interruppe il processo di assimilazione
nella maggioranza italiana di chi si inurbava nei grandi centri come Trieste.
Il crescente movimento nazionale sloveno e croato si dimostrò in buona parte
fedele allo stato asburgico, tuttavia non mancò di esprimersi anche un progetto
“panslavista” che mirava a creare una compagine statale indipendente che
riunisse gli “slavi del sud”, unendo sloveni, croati e serbi. Proprio per
contrastare questo movimento e preservare il sostegno dei sudditi sloveni e
croati, sorse nell'ambito della monarchia asburgica il noto progetto
“trialista”, caldeggiato in particolare dall'erede al trono Francesco
Ferdinando; si trattava dell'ipotesi di concedere anche agli slavi del sud il
massimo grado di autonomia già accordato agli ungheresi nel 1866, riformando
l'impero su tre regni. Un tanto risentiva del preponderante peso numerico degli
Slavi inclusi nell’impero, oltre che dello spostamento ad est degli interessi
strategici degli Asburgo, dopo la perdita di territori italiani ed il
protettorato (poi annessione) della Bosnia Erzegovina.
Una delle prime esplicite espressioni governative
anti-italiane è costituita dalla direttiva diramata da Francesco Giuseppe al
Consiglio dei Ministri, nel 1866, che invitava ad opporsi all’influsso
dell’elemento italiano ancora presente dopo la perdita del Veneto ed a
procedere alla sua “germanizzazione o slavizzazione” a seconda delle zone. Tale
direttiva si collocava nel contesto della recente III Guerra d’Indipendenza,
dopo la quale l’Imperatore era convinto della generale infedeltà ed
inaffidabilità dei suoi sudditi italiani.
Buona parte degli storici è concorde nel ritenere
che tale politica ebbe effetto soprattutto in Dalmazia, dove nei decenni
successivi si registrò una rapida e drastica diminuzione della presenza
italiana; va però ricordato che in tal senso giocò un ruolo fondamentale anche
il processo di “nazionalizzazione delle masse”, ovverosia l'ampia diffusione di
una coscienza nazionale tra la popolazione ed una più estesa partecipazione
alla vita politica, fenomeno favorito dalla graduale estensione del diritto di
voto. In Dalmazia si vide così ridursi drasticamente la cultura italiana, con
la sola eccezione della città di Zara, dove gli italiani erano in netta
maggioranza. I Croati cominciano con il conquistare la guida dei Comuni più
importanti, proprio grazie al loro numero preponderante, divenuto decisivo con
la partecipazione alle elezioni di più ampie fette di popolo. Successivamente
detti Comuni iniziarono a sostituire buona parte delle scuole italiane con
quelle di lingua croata, dando così un colpo decisivo alla nostra cultura,
soprattutto in un contesto minoritario e lontano dai grandi centri italiani.
In Istria la situazione era ben diversa, perché gli
Italiani erano altamente concentrati nei principali centri abitati, anche
dell'interno, di cui erano una forte maggioranza con posizioni
politico-economiche importanti, quindi più difficili da scalzare. Nelle
campagne dell'interno, però, vi era una forte maggioranza croata (e slovena a
nord) che iniziò a partecipare all'agone politico. Nonostante la situazione più
favorevole, anche gli Italiani d’Istria ed i triestini iniziarono a temere di
subire la stessa sorte dei connazionali dalmati, anche perché essi percepivano
un “senso di accerchiamento”, in quanto osteggiati dai loro vicini slavi ma
anche dal potere governativo austriaco.
Iniziò quindi una forte contrapposizione, fatta di
battaglie elettorali ma anche caratterizzata dall'impegno patriottico profuso
da numerose associazioni culturali, ricreative e sportive, oltre che da
musicisti, poeti e letterati. E’ passato alla storia il caso emblematico di
Pisino, piccolo ma importante centro dell'Istria interna, il cui nucleo storico
era abitato da una piccola ma agguerrita comunità italiana, circondata però da frazioni
ed altri comuni a massiccia maggioranza croata; molto interessante il dato
ricordato da Fattorini tratto da uno studio del prof. Vanni D’Alessio: alla
vigilia della Grande Guerra, nel comune censuario di Pisino si contavano 54
associazioni su circa 4.400 abitanti, mentre Pola contava alla stessa data 66 associazioni
su circa 58.000 abitanti. Non mancavano manifestazioni e scontri di piazza, riportati
dalle cronache giornalistiche dell’epoca e dai libri della pisinota Nerina
Feresini, che testimoniavano l'alto livello di conflittualità cui si era
giunti.
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Piazza Tartini a Pirano, teatro dei tumulti del 1894. |
Uno degli episodi più celebri fu la “rivolta di
Pirano” del 1894. Nell’ambito di una più vasta politica volta ad assicurarsi
l’appoggio delle popolazioni slave dell’Impero, già nel 1883 era stato
formalmente introdotto anche in Istria il bilinguismo; 11 anni dopo fu emessa
un’ordinanza del ministero della giustizia, la quale stabilì che i giurati
della corte d’assise dovessero conoscere anche la lingua slava parlata sul
territorio; si ordinò inoltre che tutti i tribunali distrettuali dovessero
cambiare insegne, timbri, e quant’altro introducendo a tutti gli effetti il
bilinguismo. Un tanto scatenò reazioni negative nelle sedi di tribunale collocate
in città a schiacciante maggioranza italiana, come a Rovigno ed a Pirano; fu in
quest’ultima cittadina che si verificarono i tumulti più consistenti, quando fu
affissa la tabella bilingue sulla facciata dell’edificio; oltre ad uno sciopero
generale ed a massicce manifestazioni, si verificò un tentativo di sfondare le
porte del tribunale ed un attacco alle case di due preti del paese, italiani ma
ritenuti filo-governativi da molti manifestanti. Le autorità inviarono a Pirano
ingenti truppe e per poco non si giunse a conseguenze più gravi. Diverse
cittadine istriane videro tanta gente scendere in piazza per protesta ma i piranesi
ricevettero espressioni di solidarietà da ambienti liberali del Regno d’Italia,
e anche di altri stati europei; la famigerata tabella rimase però al suo posto.
I Piranesi decisero allora di rifarsi erigendo un monumento al loro più
illustre cittadino, Giuseppe Tartini, che venne inaugurato il 2 agosto 1896; fu
una grande festa che assunse toni patriottici ed attirò Italiani da tutta
l’Istria.
Non va dimenticato che le tensioni nazionali erano
ormai evidenti anche in altre parti dell'impero, in particolare per i conflitti
tra Cechi e Tedeschi e tra Ruteni e Polacchi.
Negli ultimi 2 decenni del XIX secolo il movimento
nazionale italiano si sviluppò anche a Trieste, che divenne ben presto la città
simbolo dell'irredentismo. Proprio per quanto riguarda il capoluogo giuliano,
sono stati proiettati i dati del censimenti ufficiali austriaci e Fattorini ha
espresso alcune importanti considerazioni.
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Censimenti del Comune di Trieste |
Osservando la dinamica demografica
dal 1880 al 1910, si osserva un forte aumento della popolazione di lingua slovena,
in particolare nel 1910, quando essa risulta più che raddoppiata rispetto a 10
anni prima. Si è ricordato come i dati dell’ultimo censimento che abbiamo a
disposizione sono frutto di una revisione imposta dal governo, che non gradiva
i risultati prodotti inizialmente; va infatti precisato che le rilevazioni
della nazionalità erano svolte da personale dei comuni e spesso, quindi, la
maggioranza che reggeva il municipio poteva cercare di influire sugli esiti. Ad
ogni modo, è assolutamente evidente come nell’ultimo periodo considerato c’era
stata una massiccia immigrazione di sloveni a Trieste e Gorizia come di croati
a Pola, che verosimilmente fu anche
favorita dal governo in chiave anti-italiana. Analogamente va ricordato che
buona parte di coloro che erano classificati come “stranieri” erano in realtà
italiani “regnicoli”, che vivevano in territorio austriaco anche da molti anni,
ma ai quali non era stata concessa la cittadinanza austriaca; alcuni studi
hanno stimato una presenza regnicola di circa 30.000 unità nella sola
Trieste.
A quelle nazionali si aggiungevano anche le
tensioni sociali, tanto più evidenti se si valuta la nascita ed il veloce
sviluppo del movimento socialista nel “Litorale”, che seppe conquistare ben
presto importanti successi elettorali e posizioni politiche, soprattutto a
livello parlamentare. L'episodio più noto e significativo di tali tensioni fu
lo sciopero dei fuochisti del Lloyd Austriaco del 1902; quegli operai della
società di navigazione chiedevano nient'altro che migliori condizioni di
lavoro, ma si videro opporre una dura repressione militare, con 14 morti e
decine di feriti tra i manifestanti. Questo atteggiamento intransigente fu
dettato dal generale Conrad von Hoetzendorf, che guidò le truppe e che vedeva
anche dietro a quella manifestazione degli intenti “nazionalisti” di parte
italiana, a torto, visto che la manifestazione era seguita ad un comizio da
parte del Partito Socialista, che stava appoggiando le rivendicazioni dei
lavoratori. Si trattava dello stesso von Hoetzendorf che in seguito, raggiunte
le più alte cariche militari, propose di attaccare militarmente l’Italia
durante i soccorsi del tragico terremoto di Messina, nel 1908, ma anche di
scatenare una “guerra preventiva” contro la Serbia.
In questo clima incandescente si arrivò allo
scoppio della Prima Guerra Mondiale ed all'entrata nel conflitto dell'Italia
contro l’Impero Austro-Ungarico, cui seguì l'apice dell'odio verso gli
italiani, da parte degli slavi ma anche delle autorità asburgiche, che a quel punto
vedevano tutti gli Italiani come dei traditori. A tal proposito, il relatore ha
ribadito come l’Italia, in quel contesto, non era obbligata al rispetto della
Triplice Alleanza, in quanto trattato difensivo; in quel caso, infatti, erano
state Austria e Germania a dichiarare guerra ad altri stati, oltretutto senza
informare preventivamente l’alleato italiano, obbligo previsto dal medesimo
trattato.
Ad ogni modo, nel maggio del 1915, la rabbia
austriaca si scatenò indiscriminatamente contro tutti i sudditi italiani di
Francesco Giuseppe e soprattutto sui loro simboli nazionali, anche se buona
parte di essi, ovviamente, non aveva avuto alcun ruolo nella decisione del
governo italiano di muovere guerra all’Austria. Come noto, a Trieste, vennero
incendiate la sede de Il Piccolo, la Ginnastica Triestina, danneggiati il
monumento a Verdi, molti negozi di “regnicoli” e tante altre proprietà o
istituzioni italiane.
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Famiglie intere rinchiuse nel campo di internamento di Wagna |
Un altro provvedimento molto grave, di cui ultimamente si
è iniziato a parlare, fu la deportazione di molte migliaia di persone (alcuni
studiosi parlano di circa 100.000 unità) nei campi di internamento allestiti
nell’Austria interna (per lo più in Stiria) e in Ungheria. Furono deportati
irredentisti o presunti tali, ma in molti casi anche i familiari dei volontari
irredenti, che avevano scelto di combattere nelle file italiane. Ma al di là
dei deportati per motivi politici, vennero tradotte in massa in questi campi
anche le intere popolazioni della bassa Istria, ufficialmente per motivi di
sicurezza, vista la presenza della base della Marina Militare di Pola. Con il
protrarsi della guerra, le condizioni di vita in questi campi divennero molto
dure e la mortalità, in alcuni di essi, raggiunse livelli tragici. Questi
“barackenlager” furono finalmente sgomberati a partire dalla primavera del
1917, a seguito delle proteste di un gruppo di internati istriani e del
sostegno di alcuni deputati italiani cattolici e socialisti al Parlamento di
Vienna. I detenuti politici, però, furono destinatari di altre misure restrittive,
come il confino. Non a caso, la chiusura dei campi avvenne dopo la morte di
Francesco Giuseppe e del primo ministro Karl von Sturgkh, i cui successori
(Carlo I e Ernest von Koerber) si dimostrarono più tolleranti.
Si è infine analizzato il delicato momento della
fine della Grande Guerra, con i soldati e marinai italiani che arrivarono nelle
nostre città, accolti dalla popolazione festante, dopo che a Villa Giusti
veniva firmato l’armistizio tra Italia ed Austria.
La conferenza ed il dibattito finale sono stati un
momento formativo molto importante per tutti i presenti, che hanno avuto modo
di approfondire fatti e situazioni di quel periodo storico e di inquadrarli
correttamente nel contesto dell’epoca. Un grazie a Luigi Fattorini, per aver
messo a nostra disposizione la sua competenza ed il frutto dei suoi studi.