L'Italia
dopo l'Italia. La morte dello Stato italiano dal 1992 ad oggi.
Questo
il titolo del primo incontro pubblico organizzato dal gruppo giovani del Comitato
Trieste Pro Patria, che si è tenuto il 16 novembre presso la sala
teatrale del santuario di Santa Maria Maggiore.
Relatore
è stato il professor Virgilio Ilari, già docente di Storia delle
istituzioni militari e dei sistemi di sicurezza all'Università
Cattolica di Milano, presentato dal nostro Matteo. Figura di spicco del dibattito storico italiano,
nonché per molti anni presidente della Società Italiana di Storia
Militare, Ilari ha collaborato con l'Ufficio Storico dello Stato
Maggiore dell'Esercito, con l'Istituto Affari Internazionali e con
varie riviste di approfondimento. È stato anche consulente del
Centro Militare di Studi Strategici, della Commissione bicamerale di
inchiesta sul terrorismo e le stragi ed ha collaborato con il Centro
Alti Studi per la Difesa.
Ilari
ha delineato la parabola discendente dello Stato italiano dal 1992 ad
oggi. Il triennio 1991-1993 rappresenta, a suo dire, la morte dello
Stato italiano soprattutto a causa di tre fattori, di tre momenti
chiave: il trattato di Maastricht, l'inchiesta Mani Pulite, i
referendum a carattere elettorale.
Ulteriore
spunto di riflessione proposto da Ilari è stato lo scarto
generazionale avvenuto nella stagione del Sessantotto: da una parte
la generazione dei «nostri grandi vecchi», vissuti in un'epoca di
grandi slanci politici (Fascismo, Resistenza, il Dopoguerra)
dall'altra quella che Ilari, in un articolo dal titolo omonimo di
questo incontro, non esita a definire come «quella
che s'è mangiato tutto: ominicchi, donnacciole e quaqquaraquà
incapaci di sopportare la durezza della vita e della libertà, che
alla fine hanno venduto pure sé stessi e i propri discendenti
gongolando “gajardo, 'arisemo schiavi”».
Con disincanto lo stesso Ilari, in un simpatico intermezzo in
romanesco esclama: «pure
io, alla fine, che sono della stessa generazione, che ho fatto?».
Che
cosa manca a questa Italia per riprendere e plasmare sul presente i
valori che Ilari assurge come fondamentali per una coesione ideale? Due,
a suo avviso, le motivazioni.
La
seconda, lo svilimento e la celebrazione di maniera di qualsivoglia
valore che possa in minima parte collegarsi all'idea di Patria.
Marcette dei bersaglieri, obbligo di far cantare l’inno ai
calciatori della Nazionale, sostituzione della Marcia
di Radetzky
del Concerto di Capodanno con l’Inno
di Mameli
e tutta una serie di iniziative partite dalla costruzione del
centocinquantenario del’Unità d’Italia servono a instillare nei
cittadini un senso profondo di amor patrio, di coinvolgimento ideale
a un senso di comunità nazionale? Secondo Ilari, ma pure secondo il
sottoscritto, assolutamente no. Anzi, non fanno altro che ridurre a
folklore un sentimento ben più profondo dello sventolio di un
tricolore durante i Mondiali di calcio. Oltre a legittimare istanze
separatistiche, svuotando di ogni contenuto il sentire patriottico e
a rendere estremamente sospetto e contraddittorio ogni sporadico
richiamo istituzionale alla coesione nazionale.
Lorenzo
Natural