Il 26 settembre
abbiamo avuto il piacere di ascoltare la testimonianza di Antonio (Nino) Ro,
classe 1930, triestino da molti anni emigrato in Australia, che ha vissuto in
prima persona e già da uomo il periodo del GMA ed in particolare i tumultuosi
avvenimenti del 1952-54. Pochi giorni dopo, una simile conferenza dal titolo “I
valori dei giovani di ieri e di oggi” è stata organizzata dal gruppo giovanile
della Lega Nazionale, sempre con la partecipazione di Antonio Ro. Abbiamo
conosciuto Antonio oltre un anno fa tramite i social network, trovandolo
sconcertato come noi dalla deriva ideologica presa da molti triestini,
lasciatisi trascinare dai ben noti movimenti italofobi che li hanno spinti a
rinnegare la propria identità. Antonio ha voluto essere nella sua Trieste nel
60° anniversario del ricongiungimento all’Italia, un ritorno, il suo,
estremamente sentito, un richiamo irresistibile della sua città natale; abbiamo
approfittato per avere l’onore di conoscerlo di persona e per ascoltarne la
sentita testimonianza, per sentire il racconto di un periodo che ci sta molto a
cuore dalla voce di un protagonista.
Chi sente parlare
Antonio non può che stupirsi per l’estrema lucidità e facilità di parola che
non ne tradiscono assolutamente l’età, ma può anche apprezzare il dialetto
triestino di un tempo, mantenutosi incorrotto con la lontananza. Soprattutto,
ascoltando Antonio si intuisce subito
quanto lui porti con orgoglio il suo bagaglio di esperienza maturato in quel
difficile periodo. I primi ricordi sono stati quelli del maggio-giugno 1945, di
cui l’allora giovane Nino ha raccontato il clima cupo e pregno di tensione:
durante i 40 giorni i triestini vivevano nel terrore, ogni giorno si
rincorrevano i racconti di gente portata via, verso un ignoto destino. Proprio
per questo, il 12 giugno, l’arrivo degli alleati fu accolto con grande
entusiasmo; nessuno poteva prevedere, in quel momento, quanta tensione sarebbe
sorta anche con gli inglesi, di lì a qualche anno.
In seguito, i
triestini cominciarono a soffrire quella situazione provvisoria, con il GMA che
si stava protraendo troppo a lungo e dava a tutti un senso di precarietà, anche
perché la situazione dei rapporti internazionali rendeva sempre più evidente
che la reale attuazione del Territorio Libero era impossibile; si trattava,
oltretutto, di un soggetto politico calato dall’alto, che nessun triestino
aveva voluto.
Iniziò in quel
periodo la lunga fase delle manifestazioni per l’italianità, con i primi
consistenti incidenti il 20 marzo del 52; va infatti ricordato che il 20 marzo
del 1948 fu diramata la “nota tripartita”, con la quale USA, Inghilterra e
Francia avevano dichiarato di voler restituire all’Italia l’intero TLT
(compresa la zona B occupata dalla Jugoslavi). Gli anni successivi, gli
italiani manifestavano proprio nell’anniversario di quella dichiarazione,
chiedendone a gran voce l’applicazione; non molti sapevano, però, che lo
strappo tra Tito e Stalin aveva migliorato la posizione jugoslava e di fatto
reso difficilmente attuabile quella soluzione positiva.
Antonio ricorda molto
bene quella fase di storia triestina: operaio presso un’officina, partecipava
alle sempre più frequenti manifestazioni, che di solito partivano
spontaneamente dagli studenti delle scuole superiori ed in particolare dal
viale XX settembre; gli studenti davano spesso vita a cortei improvvisati, cui
si univano molti lavoratori come lui, si trattava in buona parte di gente del
popolo, animata da sinceri ideali. Oggi qualcuno pretende di insegnarci che i
manifestanti erano portati da fuori e le dimostrazioni erano orchestrate
dall’alto, per dare la finta immagine di una Trieste italiana; ma Nino ricorda
bene chi partecipava alle manifestazioni: si trattava in massima parte di
giovani triestini, rinforzati, solo nelle occasioni principali, da giovani
venuti da fuori città. Questa partecipazione esterna era qualcosa di naturale e
spontaneo, in quanto tanta gente, a quei tempi, era solidale con i triestini e
con la loro battaglia per l’italianità. Uno degli aspetti più interessanti è
che in quelle massicce manifestazioni si univa gente di varie provenienze
politiche: missini, democristiani, repubblicani, socialisti; tutti costoro
erano ben consapevoli delle diverse idee e scelte elettorali, ma non importava,
non trovavano difficoltà a manifestare assieme, uniti dalla loro italianità.
Alle diverse anime corrispondevano anche vari ritrovi, presso sedi associative
o di partito, dove in alcuni casi si passava anche il tempo libero, si ballava
la sera, si trovava comunque un punto di aggregazione.
Nino ci ha parlato
anche di come vedeva il partito autonomista, che era sorto dopo il Trattato di
Pace ed aveva iniziato a mettersi in evidenza con le elezioni del 1949. Questi
indipendentisti erano visti, dalla maggioranza della popolazione di sentimenti
italiani, come filo-jugoslavi, appoggiati politicamente e finanziariamente da
Belgrado. E’ alla luce di questo che si deve valutare la devastazione della
loro sede di Corso Italia, durante le manifestazioni del ’53, le cui immagini
sono ancor oggi ben note.
Antonio ha voluto
evidenziare come la tensione dei manifestanti era rivolta soprattutto contro
gli inglesi, perché erano loro i responsabili dell’ordine pubblico a Trieste e
si dimostrarono abbastanza ostili alle aperte manifestazioni di italianità,
oltre che esecutori dell’odiosa proibizione dell’esposizione di bandiere
tricolori. Generalmente non vi era un diffuso astio verso la Polizia Civile,
composta in buona parte da concittadini che eseguivano gli ordini dei
superiori; diversa era invece la percezione del Reparto Mobile, che aveva fatto
la sua prima comparsa proprio nel ’53 nella gestione dell’ordine pubblico e si
era distinto per i metodi molto più ruvidi. La popolazione era invece
generalmente più benevola nei confronti degli americani che, ha ricordato Nino,
mai si erano dimostrati ostili a chi manifestava per l’italianità di Trieste e
tra l’altro non gestivano direttamente l’ordine pubblico.
Durante il racconto,
è chiaramente emerso come a fomentare la tensione c’erano anche i rapporti
tesissimi tra Italia e Jugoslavia, che all’apice dell’ostilità, nel 1953,
schierarono le rispettive truppe nei pressi del confine; a gettare benzina sul
fuoco, ci fu anche il minaccioso discorso di Tito a Sambasso, vicino al confine
goriziano. Oggi, nel valutare gli eventi di quel periodo, molti dimenticano che
la minaccia che Trieste potesse ricadere sotto occupazione jugoslava era
purtroppo più che concreta e non era frutto della presunta propaganda italiana.
Basti pensare alle dichiarazioni aggressive di Tito, che aveva affermato a
chiare lettere, dopo la “nota bipartita” dell’8 ottobre del ’53, che la
Jugoslavia non sarebbe rimasta inerte in caso di restituzione della città
all’Italia. A conferma di un tanto, ci fu anche l’atteggiamento dei comunisti
triestini, che (ormai contrari a Tito dopo la rottura tra Mosca e Belgrado del
‘48) si erano detti pronti a prendere le armi in caso di invasione dei titini,
per bocca del loro capo Vittorio Vidali. Tra l’altro, la capacità di difesa
degli alleati si limitava ai soli 10.000 uomini presenti nella zona A, in
applicazione del Trattato di Pace; gli jugoslavi, invece, erano liberi di
schierare ingenti truppe nel territorio già di loro sovranità, che circondava
l’altipiano triestino. Anche Antonio conferma questo sentimento che la
popolazione di allora viveva: il ricordo dei famigerati 40 giorni era ancora
fresco e la paura del ripetersi di qualcosa di simile era palpabile. Tutti
percepivano che l’incompiuto TLT era ormai alla fine e l’alternativa per
Trieste era tornare all’Italia o finire preda della Jugoslavia.
Un’altra riflessione
interessante ha riguardato il motivo che spingeva tanti giovani a scendere in
piazza: si voleva il ritorno dell’Italia soprattutto per poter manifestare la
propria identità; molti omettono di ricordare, infatti, che all’epoca il
tricolore non poteva sventolare sul municipio e non si poteva manifestare con
la bandiera italiana. Per questo, scendere in piazza con il tricolore era un
rischio, un atto di ribellione e di coraggio. Anche per questo, ha detto Nino,
oggi non tantissimi scendono in piazza nelle occasioni patriottiche o commemorative:
perché l’appartenenza di Trieste all’Italia è qualcosa di scontato, non è più
un obiettivo da conquistare; la propria appartenenza culturale al popolo
italiano è ovvia ed indiscussa, molti non sentono il bisogno di manifestarla
nelle strade; oltre a questo, chiaramente, vi è anche la sfiducia verso la
politica e le istituzioni, che da molti non vengono distinte dal concetto
identitario di Patria.
Il nostro Nino è però anche uno dei tanti emigrati in una terra lontana ed anche questo è stato un argomento molto interessante. A suo avviso, solo una minoranza di coloro che partirono come lui negli anni cinquanta lo faceva per motivi politici, ossia per essersi compromessi militando nella Polizia Civile, in altri organi del GMA o nel partito indipendentista, o comunque in quanto scontenti del ritorno dell'Italia. Secondo il racconto di Nino, la maggior parte dei partenti ha preso le più svariate vie del mondo in cerca di fortuna, di lavoro, di migliori condizioni di vita, in molti casi anche per spirito di avventura e sperando in futuro di poter tornare. Tantissimi dei partenti erano istriani, che provenivano direttamente dalla terra d'origine, oppure dai campi profughi allestiti a Trieste e in altre parti d'Italia. In ogni caso, in Australia Nino non ha mai incontrato sentimenti di odio o risentimento verso l'Italia e gli italiani, anzi, tantissimi emigrati o loro figli frequentano le associazioni che rappresentano gli italiani nel mondo.
Seduti in prima fila,
a seguire il racconto, c’erano altri 3 “ragazzi del ‘53”, che sono più volte
intervenuti, dando vita ad un racconto molto vivace ed avvincente, che ha permesso
di rappresentare quei giorni da diversi punti di vista e con molte
sfaccettature.
Alla fine, abbiamo rivolto un sentito e caldo ringraziamento ad Antonio Ro, che ha saputo trasmetterci tutta la sua passione e soprattutto renderci partecipi delle motivazioni e dello stato d'animo che mosse i protagonisti di quegli anni difficili.