Il
26 ottobre 2013 ricorreva il 59° anniversario del ritorno di Trieste
all’Italia e naturalmente non potevamo mancare all’appello, in
occasione dell’alzabandiera solenne tenuto in piazza dell’Unità
d’Italia. Nonostante la giornata uggiosa, erano comunque presenti
alcune centinaia di persone ed anche noi abbiamo dato il nostro
contributo, con una buona partecipazione, come sempre colorata, fiera
e compatta dietro al nostro striscione. Dopo l’alzabandiera e
l’inno d’Italia cantato da tutti, dopo l’uscita di scena del
plotone di Lanceri, abbiamo spontaneamente attraversato la piazza in
corteo fino al municipio, raccogliendo con soddisfazione gli applausi
di molta gente.
Subito
dopo, una nostra delegazione ha seguito la solenne commemorazione dei
6 caduti nei fatti del novembre 1953, svoltasi nella sala del
consiglio comunale alla presenza del sindaco e delle autorità,
organizzata dalla Lega Nazionale.
E’
per noi molto importante sostenere le manifestazioni commemorative e
patriottiche che, dopo tanti anni e nell’attuale contesto di crisi
dei valori tradizionali, si stavano un po’ affievolendo. Non si
tratta certo di vivere guardando solo al passato, ma di costruire un
degno futuro partendo dalle solide basi delle nostre radici e della
nostra storia.
Persiste
ancora oggi in certi "ambienti" triestini la leggenda
metropolitana secondo cui l'entusiasmo e la partecipazione per il
ritorno di Trieste all'Italia dopo la parafatura del Memorandum di
Londra nel 1954 furono di pochi e che la maggioranza dei triestini
era contraria se non indifferente alla così detta "Seconda
Redenzione"; pertanto, la stragrande maggioranza delle persone
che accolsero esultanti le truppe italiane, i bersaglieri, non erano
triestini ma gente venuta da fuori città, anzi mandata dal Governo
italiano a manifestare per l'occasione. Anche la sollevazione
popolare del 1953 contro il Governo Militare Alleato, dai seguiti
luttuosi, viene dagli stessi "ambienti" sminuita nei fatti
e ridotta a gazzarra creata da pochi, scalmanati e prezzolati
elementi, in massima parte provenienti dalle regioni italiane
limitrofe. Insomma il tripudio e l'entusiasmo che si sono visti da
parte della popolazione per l'arrivo delle truppe italiane a Trieste
in quegli indimenticabili giorni sono candidamente negati contro ogni
evidenza storica della realtà dei fatti, documentati da copioso
materiale fotografico, da filmati e servizi giornalistici diffusi in
tutti il mondo, oltre che da una sterminata documentazione storica e
memorialistica.
Molto
interessante, in tal senso, il sobrio racconto di Gabrio de
Szombathely nel suo libro “A Trieste sotto 7 bandiere”: “Verso
le 11.45 ci fu offerto in cambio lo spettacolo dell’arrivo del
cacciatorpediniere Grecale, bello, lungo, grigio, che attraccò alla
banchina proprio davanti alla piazza ed altrettanto fece un secondo
cacciatorpediniere italiano alla banchina di sottovento del molo
Audace, zeppo fino all’orlo di persone ed ombrelli e non so come in
quella calca le due navi riuscirono a distinguere sul molo le bitte
cui assicurare i loro cavi d’ormeggio.
Ma lo spettacolo più bello
fu il bandierone italiano sventolante sul Grecale: e per me fu
quella la settima bandiera; non era la bandiera del 1918 con lo
stemma sabaudo e lo stemma reale, ma quella della Repubblica
italiana, con l’emblema della Marina Militare e gli stemmi delle
quattro Repubbliche Marinare […] Sulla balconata della Prefettura
il generale De Renzi pronunciò un messaggio di saluto alla città,
avendo accanto a se il buon Gianni Bartoli, che finalmente portava la
fascia tricolore di sindaco italiano. Anche la parata militare andò
a monte; nel pomeriggio, il bravo sindaco Bartoli tenne sulla stessa
piazza un commosso discorso, commemorante le trascorse sciagure, la
decisione di resistere a ogni costo, il ritorno dell’Italia, il
rinnovo della Redenzione; ed aggiunse il proposito di arrivare in
futuro ad un’Europa unita e ad un Adriatico riappacificato; e di
poter anche arrivare ad un non lontano avvenire di libertà per tutti
i giuliani, profughi e non. Nei giorni seguenti il generale De Renzi
trasmise i poter civili al Commissario Generale del Governo per
Trieste, il Prefetto Giovanni Palamara, il quale provvide ad inserire
nell’ordinamento burocratico italiano i vari uffici del cessato
GMA.
Questo rimaneggiamento persuase i triestini di essere
ridiventati sudditi italiani anche se di confine e ne ebbero la più
autorevole e gradita conferma già la settimana dopo, quando la città
ebbe l’onore di essere visitata, il 4 novembre del ’54,
addirittura dal Presidente della Repubblica Luigi Einaudi […] La
sua venuta a Trieste in forma ufficiale per il 4 novembre, festa
nazionale, attirò in piazza e sulle rive quello che fu certamente il
massimo concentramento di folla della sua storia e per quel giorno il
signore Iddio riservò alla città un tempo splendente […] Una
folla impenetrabile sostava davanti alla tribuna presidenziale e
lungo tutta la riva dal molo Bersaglieri al molo Audace e dietro
riempiva tutta la piazza. Fu uno spettacolo indimenticabile,
incorniciato dall’azzurro del cielo e del mare. Il Presidente della
Repubblica […] decorò di persona il gonfalone del Comune di
Trieste con la medaglia d’oro al valor militare, in ricordo anche
dei suoi ultimi figli caduti in quella stessa piazza. Seguì un
perfetto sfilamento in parata di soldati, finalmente italiani, tra
incessanti applausi. Dopo la sfilata dal balcone del municipio
parlarono il Presidente del Consiglio Scelba ed il sindaco Bartoli ed
ancora, nell’antica Cattedrale di San Giusto, Mons. Antonio Santin,
vero Defensor Civitatis in tempi burrascosi, come i Vescovi del Medio
Evo […] chiuse il suo discorso con queste parole: “Giorno verrà
che quando il volto offuscato della giustizia brillerà nel consesso
dei popoli nuovamente liberi e pacificati, quel giorno, non solo le
campane di San Giusto ma anche quelle di tutte le città fiorite
sulle nostre marine suoneranno a festa”.
Negli
anni sono state raccolte e pubblicate numerose testimonianze di
triestini che in quella piovosa giornata di ottobre del 1954 hanno
festeggiato per le vie e le rive della città. Abbiamo scelto di
proporvi alcuni ricordi che abbiamo raccolto personalmente, riportati
da chi in quei giorni era appena un ragazzino, ma dopo tanti anni ha
ancora impressi nella mente emozioni, fatti, sensazioni.
Adriana:
“C'ero
anch'io con tutta la mia classe il 26 ottobre 1954, in quella piazza
Unità stracarica di triestini, sotto una pioggia torrenziale con gli
ombrelli rotti dai refoli di bora. Il 4 novembre successivo, il tempo
si fece bello ed eravamo di nuovo tutti là in piazza e sulle rive ad
attendere l'arrivo dei primi militari italiani, che erano attesi già
a Duino da molti triestini muniti dei mezzi necessari a recarsi al
posto di blocco. Non c'era finestra che non avesse il tricolore ed i
tessuti bianchi, rossi e verdi erano esauriti in tutti i negozi
cittadini. Lo stesso per i nastri tricolori.
“
Piero: “Io
c'ero, ero un ragazzino di nove anni, in una foto di quei giorni sono
in posa davanti al "Grecale" che fu il primo ad attraccare
a Trieste; il ricordo di quei momenti è, nonostante gli anni
passati, sempre vivo, presente, indimenticabile! Direi che la
documentazione fotografica più o meno nota e i documenti filmati di
repertorio che spesso si vedono parlino da se; non vorrei fare della
retorica ricordando che c'era una marea di gente in Piazza e lungo le
Rive, mai vista così tanta in centro città, tanto che non si
riusciva a muoversi, nonostante il tempo non fosse sempre clemente ed
anzi pioggia e bora la fecero da padrone in certi momenti; c'era chi
piangeva e chi rideva per la gioia, gente che letteralmente assaliva
i bersaglieri appiedati o sui camion, chiedendo o strappando loro dal
copricapo una piuma o una stelletta; gente che si abbracciava, gente
che gridava, gesticolava sventolando il tricolore; gente che faceva
la fila accalcandosi per visitare le navi, soprattutto la splendida
Amerigo Vespucci pavesata a festa per l’occasione. Insomma, fu un
vero e proprio delirio di un’intera città imbandierata come mai,
che durò dei giorni; la sera si ritornava a casa stanchi, intontiti
e felici”.
Ileana: “Il
broncio, senza lacrime, senza bizze, solo il silenzio, offeso e
risentito, di una bimba di quattro anni e mezzo, lo ricordano,
ancora, mia madre ed i miei due zii materni, gli unici adulti di
famiglia ancora viventi che vissero quella memorabile giornata. La
bimba offesa ero io, il broncio ed il risentimento erano miei...
Quale era il torto che avevo subìto? A me, in piazza, non mi avevano
portata. In città, in Piazza Unità, ci erano andati tutti, ma
proprio tutti, tranne la nonna che aveva accudito me. C’erano
andati i miei genitori, i nonni, gli zii materni e paterni, le
prozie con i consorti, i cugini e le cugine di mamma e papà con
mogli e mariti, persino una bisnonna, per non parlare degli amici di
famiglia! Io, invece, a casa. Vedevo le case imbandierate: tricolore,
tricolore ovunque, pendeva dalle finestre, dai balconi, era in ogni
dove. L’euforia dei “grandi” e la loro emozione era evidente ed
incontenibile: il caseggiato dove abitavamo, di solito vivace, era
più silenzioso del solito, perché molti erano andati in piazza.
“Troppo piccola da portare in tanta folla”, tentarono di
spiegarmi. Io pensavo solo che mi avevano lasciata a casa, mentre
fuori qualcosa di grande, di bellissimo, stava accadendo. Era il 26
ottobre, QUEL 26 ottobre. Era…l’Italia!Finalmente! Era il 26
ottobre 1954. Ad un certo punto, nonna vide passare un primo mezzo
militare. Portò una sedia davanti alla finestra e mi mise in piedi
su di essa, mentre lei mi teneva in un abbraccio che mi sembra ancora
di sentire. Guardammo fuori. Vidi passare una camionetta militare, e
poi un camion. Stretta nell’abbraccio di nonna, i cui occhi non
erano più asciutti, guardai con meraviglia ciò che stavo vedendo.
Non che non avessi mai visto mezzi militari e divise, li vedevo dalla
nascita. Ma questi erano diversi. Questi erano come noi: italiani! E
questo, io, non l’avevo mai visto.
Ricordo
quando rientrarono mamma e papà. Ricordo quant’era bella mia
madre, nello splendore della sua gioventù, ricordo quant’era
raggiante, euforica, la rivedo distintamente in quel momento,
sorridente e felice che veniva verso di me: mi consegnò delle
stellette dalle divise di qualche militare e una piuma dal copricapo
di un bersagliere. Seppur con il broncio e non ammansita, presi
tutto. Guardai la piuma: al primo momento sembrava scura, ma
muovendola nelle mani mi accorsi che aveva dei riflessi di colore
cangiante.
I
miei raccontavano a mia nonna della folla, immensa, in delirio: “Iera
tutta Trieste!” ripetevano. Raccontavano degli abbracci dati ai
nostri soldati, dei triestini che si arrampicavano sui mezzi
militari, di Trieste che gridava “Italia! Italia! Italia!”. Poi
cominciarono a rientrare anche gli altri, e ci fu un andirivieni di
parenti e amici, vicini, festosi ed euforici. Tutti a ripetere quella
frase che faceva crescere e rinsaldare il mio disappunto per
l’esclusione subìta, “Iera tutta Trieste!” ripetevano. Nei
giorni che seguirono mi ricordo che c’erano feste e balli. Conservo
ancora una foto di mia zia ad una di queste feste mentre balla con un
nostro soldato.
Così
fu, in quella giornata, a Trieste. Fu commozione, felicità, euforia.
Nella pioggia battente i triestini celebravano ciò che con il cuore
avevano atteso e ciò per cui con determinazione avevano lottato per
lunghi anni: riabbracciare l’Italia e sventolare, liberi, il
tricolore. E il confine? Quel iniquo confine a Duino? Era diventato
un niente, come una bestia dalla bocca sdentata che non può mordere
più. Mentre Trieste era, finalmente, a casa".
Alvino:
"Peggior aiuto di così il tempo non poteva dare ai soldati italiani.
Pioggia e bora, bora e pioggia tutto insieme, forse nell'intento di
trattenere i Triestini nelle loro case. Quasi temevo che ci fosse
poca gente in città, ma ben presto fui tranquillizzato: le case si
svuotavano, le automobili sfrecciavano verso il centro e famiglie
intere, uomini, donne, ragazzi, bimbi e vecchi scendevano la collina
(il Colle di San Vito) riparandosi alla meglio con i più svariati
mezzi di fortuna nelle zone battute, ed aprendo ogni tanto qualche
ombrello nei punti di bonaccia.
La
marina era nera di gente, potemmo avvicinarci a Piazza Unità
d'Italia alla distanza di 300 metri al massimo. Più in là era
impossibile penetrare, tanto la calca era fitta. Finimmo col
separarci; mia moglie Alda con i ragazzi, girando per vie interne
riuscì a raggiungere il Palazzo dei Lloyd Triestino e ad entrarvi.
lo, avvolto nel mio impermeabile da caccia, mi arrampicai sulle
sartie di un peschereccio di altomare per vedere almeno da lontano
l'arrivo delle navi. Sui tetti delle case vicine, alle finestre, agli
abbaini ed in qualunque luogo si potesse scorgere il mare c'era gente
che guardava ed agitava bandiere, nastri, drappi e fazzoletti bianchi
rossi e verdi. Una folla immensa sotto la bora e la pioggia violenta.
Quanti
ombrelli sfilavano davanti a me portati in mare da qualche refolo
capriccioso che sconvolgeva le zone di calma.
Era
un urlo continuo: "Giungono! Arrivano! Ecco le navi! Ecco i
Bersaglieri!" E via, un correre da una parte all'altra per
vedere i nuovi arrivati .... che spesso non erano affatto arrivati!
Finalmente apparvero davvero le navi. Fra gli spruzzi delle onde
apparve un caccia, poi l'incrociatore e poi ancora gli altri due
caccia. La gente sembrava impazzita; era tutto un gridare, un
agitarsi forsennato. Undici anni di attesa, undici anni di ansia
sfociavano in un immenso grido, in uno slancio incredibile ed
inimmaginabile per chi non lo abbia vissuto, verso le navi della
Patria che giungevano in porto.
Intanto
da terra giungevano i Bersaglieri. Oltre un'ora avevano impiegato con
gli autocarri per fare sì e no un chilometro o poco più. Non
c'erano più cordoni, non c'era più limite a trattenere
l'entusiasmo. Gli autocarri erano zeppi di Triestini. Erano entrati
dappertutto; ed i poveri soldati pigiati dentro, mezzo soffocati dal
grande abbraccio di tutto un popolo! Come riuscissero a guidare gli
autisti è una cosa che non potrò mai spiegare. Sul cofano, sui
parafanghi, sull'imperiale, ovunque ci fosse il più piccolo appiglio
c'era arrampicato un giovane o una ragazza.
Ogni
tanto appariva qualche cappello da Bersagliere ed una mano toglieva
le penne per donarle ai molti, ai troppi richiedenti. Quanti
Bersaglieri ho visto senza la minima traccia di penne sul cappello.
Qualcuno ci rimise il cappello, altri la giubba. Di bottoni sulle
giubbe ne rimasero pochini perché ogni cittadino pretendeva un
ricordo dal primo soldato che riusciva ad avvicinare.
E
gli autisti continuavano a guidare, un metro alla volta. Insomma,
malgrado le difficoltà di guida, non avvenne nessun incidente e
tutto filò liscio liscio, così come lo poteva permettere
l'entusiasmo dei cittadini che sovverti l'ordine di ogni ben studiata
cerimonia.
Anche
l'assalto alle navi ebbe luogo a tempo debito, non appena
accostarono, ed i marinai non poterono far altro che aiutare i molti
giovani d'ambo i sessi che s'erano lanciati all'arrembaggio. In pochi
momenti a bordo si vedevano più borghesi che marinai e nulla
riusciva a trattenere gli assaltatori, neppure le onde, il vento e la
pioggia che sulla riva facevano il diavolo a quattro".
Questo
fu lo stato d'animo di gran parte dei triestini ed è questa
l'eredità che noi vogliamo raccogliere, il passato che vogliamo
tramandare, sono questi i valori che ci danno forza per affrontare il
futuro.